Assolti Mori e Obinu: “Noi sapevamo”. Sconfitto il teorema.

SOS1305887Non pago dell’abbraccio fraterno con Massimo Ciancimino, Salvatore Borsellino e le sue “agende rosse” hanno inveito contro i giudici della IV Sezione del Tribunale di Palermo con un “vergogna!, vergogna!”, mentre pronunciavano quelle parole: Assolti.
Allora per coerenza ci scuseranno se adesso siamo noi a chiedere loro di vergognarsi, e di farlo con energia, per aver creduto in tutti questi anni a coloro che i giudici terzi, non innamorati di questo o di quell’altro teorema, hanno considerato non semplicemente inattendibili, ma molto più, tanto da richiedere la trasmissione degli atti alla Procura: dovrà valutare se Michele Riccio e Massimo Ciancimino hanno deposto il falso,  calunniando e manipolando prove.

E siamo certi che, se Paolo Borsellino e Giovanni Falcone fossero vivi, si vergognerebbero anche loro di chi, per un malinteso senso di giustizia ed in nome loro, non vuole accettare la verità processuale, pronunciata oggi da un Tribunale libero da condizionamenti: INNOCENTI. Mori e Obinu non hanno favorito la latitanza del criminale Bernardo Provenzano. Mori e Obinu non hanno fatto accordi con la mafia.
E noi lo sapevamo. Chi conosceva i fatti e letto gli atti (tutti resi disponibili da Radio Radicale), piuttosto che leggere giornalate faziose, non ha mai avuto dubbi.
E’ vero: quel 31 ottobre 1995 a Mezzojuso non si intervenne. Ma le ragioni furono solo operative. Non vi era alcuna certezza che vi fosse Provenzano. Ecco perché “il fatto non costituisce reato”.

Ma sicuramente il vero fatto nuovo è che il Tribunale ha inviato gli atti alla Procura affinchè proceda contro i due principali accusatori di Mori e Obinu: Michele Riccio e Massimo Ciancimino.
E forse sarebbe il caso che un inchiesta seria accerti anche per conto di chi o con la regia di chi i due accusatori hanno elaborato le loro accuse condite, in alcuni casi, da prove documentali risultate sostanzialmente delle bufale. Ma sperare in questo significherebbe sperare in un’altra Italia.
Il colonnello Mauro Obinu, friulano, 57 anni, dall’età di 16 con le stellette alla Nunziatella, unanimemente considerato uno dei migliori ufficiali dell’Arma, superiore diretto di Ultimo nei giorni dell’arresto di Riina, ma sempre umilmente lontano dai riflettori, con questa stessa umiltà aveva ricordato suo padre, sottufficiale dell’esercito.
“Le espressioni rivoltemi – aveva detto ai giudici, riferendosi alle umilianti frasi di Di Matteo pronunciate nella sua requisitoria-  pesano molto sulla mia deontologia, ma non la intaccano nemmeno, laddove vengo indicato come un traditore della Costituzione.
Ho accettato lezioni morali solo da mio padre, in giovane età, perché lui era umile ed aveva stile.”
Con fermezza militare aveva rimarcato la linearità del suo operato: “se tornassi indietro, nel contesto di quei primi anni ’90, non potrei che rifare ogni cosa che ho fatto, tranne che concedere fiducia a Michele Riccio.”

Il Generale Mori prima della sentenza era sereno : “lo sviluppo tecnico del processo dovrebbe portare alla assoluzione, ma – lei lo sa – c’è sempre l’alea del condizionamento ambientale. Ma questa Corte sembra serena. Speriamo”
Dietro queste poche, pacate considerazioni si cela l’esigenza di un ampio dibattito sulla delicatezza della Giustizia e su come negli ultimi anni, troppo spesso, invece,  si è assistito a processi anticipati in libri, talk show, giornali e palcoscenici.
Solo persone che hanno perso la bussola, non comprendono che, così facendo, vengono esercitate pressioni inaccettabili sull’operato dei giudici che nelle loro decisioni potrebbero essere spinti dal fattore “C”. Il fattore “Consenso”.
Funziona così: si manipola l’opinione pubblica, cosicché il giudice chiamato a decidere si troverà ad un bivio difficilissimo: emettere una sentenza giusta ma impopolare o una sentenza ingiusta ma premiata dal popolo desideroso di sangue a tutti i costi?

Se fossimo in un’altra Italia dovremmo chiedere solo conto e ragione dei soldi spesi per questo assurdo processo ma, temo, aimè che ancora molti, impunemente, se ne spenderanno.—

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