New York, 7 dicembre 2013 – Non dicono mai di no. Se un bambino o un ragazzo in difficoltà chiamano, loro rispondono sempre presente. Non stiamo parlando di supereroi ma dei volontari della Onlus «Make-a-Wish» che dal 2004 si dedica a esaudire i desideri dei piccoli malati d’Italia: 150 sogni trasformati in realtà all’anno, un costo medio di circa 2800 euro l’uno. Molto spesso si tratta di un viaggio elettrizzante, come nel caso di Matteo Gualandris, 18enne di Ponte San Pietro, che a inizio novembre è atterrato a New York dove è riuscito a intessere la trama della sua vita con quella del suo mito, Melo Anthony, il quinto giocatore più pagato dell’NBA (21,49 milioni di dollari l’anno). «Sono costretto a vivere su una sedia a rotelle perché soffro fin dalla nascita di distrofia muscolare – racconta senza nessun tipo di timidezza – Nell’agosto 2012 ho contattato quest’associazione no-profit in seguito alla segnalazione dei genitori di un mio amico disabile. Dopo aver aspettato qualche mese, ad aprile di quest’anno sono venute le volontarie a intervistarmi: sono un grande tifoso dei Knicks, non potevo voler nient’altro che non fosse andarli a vedere nella Grande Mela. A metà ottobre mi hanno comunicato che la mia richiesta era stata accolta e che sarei partito dopo pochi giorni per gli Stati Uniti».
Un’esplosione di gioia, Matteo sembra vivere con l’adrenalina di quel momento appiccicata addosso come fosse una seconda pelle. Il suo racconto è intriso di energia, New York gli ha regalato il carburante per alimentare la speranza. «La mia vita è cambiata grazie a questo viaggio, ora porto qualcosa di grande nel mio cuore. La mia giornata è tutta incentrata sulla pallacanestro, anche se non posso giocare perché non ho abbastanza forza muscolare. Con la mia carrozzina elettrica mi limito a difendere o a passare una palla che è più leggera di quella normale. È una passione unica, grazie allo sport riesco a mettere la mia malattia in secondo piano. Senza «Make-a-Wish» non sarei potuto andare oltreoceano, non è un periodo facile in famiglia. Sono partito con mia madre Stefania e mio fratello maggiore Alberto e mentre ero là, continuavo a pensare a mio padre che è morto quasi 4 anni fa. Una cosa del genere avrei voluto farla anche con lui».
L’apice delle cinque giornate a stelle e strisce, vissute viaggiando sempre in limousine, è stato l’incontro con il giocatore franchigia dei Knicks, Anthony. Un vortice di emozioni, un flusso incessante di stimoli: nonostante sia passato un mese ormai, l’incredulità è ancora vivida nelle parole di Matteo. «Adoro Melo, è un’ala che tira in maniera divina. Se dovessi rinascere giocatore di basket vorrei essere come lui, vorrei la sua leadership, la sua qualità. Tutti mi avevano detto che era antipatico e invece con me è stato gentilissimo. Quando me lo sono trovato di fronte sono rimasto senza parole ma poi mi sono sciolto gradualmente. Gli ho stretto la mano all’allenamento, il giorno dopo averlo visto perdere al Madison Square Garden contro Charlotte. Lui mi ha addirittura chiesto scusa per la sconfitta e poi mi ha regalato una canotta arancione autografata che ho immediatamente appeso in casa. Ho incontrato anche Andrea Bargnani, pure lui molto disponibile: quando gli ho detto che abitavo in provincia di Bergamo mi ha raccontato di quando giocava a Treviglio».
Non solo basket, anche l’immersione nel cuore pulsante della città ha lasciato Matteo a bocca aperta. Il momento più bello infatti non è stato sportivo: «Quando sono salito sull’Empire State Building di notte è stato incredibile, uno spettacolo che faccio fatica anche a descrivere a parole. A New York è tutto più grande: luci pazzesche, grattacieli immensi, marciapiedi larghi come una nostra strada. Mi sentivo in un film, mi sembrava di essere immerso in un sogno. Ti senti piccolo come una formica ma le persone, dal punto di vista umano, mi hanno fatto sentire grande. È bastato un gesto, un sorriso, per farmi dimenticare la distrofia. La vita per i disabili negli Stati Uniti è molto più facile, sono avanti anni luce rispetto a noi, bisogna dirlo. Hanno una mentalità diversa che dovremmo cercare di copiare». Matteo ora ha imparato a sognare ma non vuole certo fermarsi qui: «Il prossimo desiderio? A me piace scrivere di basket, vorrei provare a fare il giornalista». Ascoltatelo parlare cinque minuti, leggete qualche riga scritta da lui, e vi convincerete che anche questo sogno si può realizzare.
di Michele Gazzetti
Fonte Corriere della Sera