Huang Jan venne portato via a cento metri da casa sua. Ma non si è mai arreso e ha ritrovato su internet i genitori
Pechino, 8 dicembre 2013 – Ventitré anni dopo essere stato rapito, un ragazzo cinese ha ritrovato la sua mamma e il suo papà. Era una mattina del 1990 e un bambino di cinque anni stava andando all’asilo a piedi, da solo. Erano solo poche centinaia di metri dalla sua casa, nel villaggio di Yaojia, provincia centro-occidentale cinese del Sichuan. Il piccolo, Huang Jan, fu avvicinato da una donna e un uomo. «Mi dissero che erano amici di mamma e papà, li ho seguiti». Erano ladri di bambini.
IL RAPIMENTO – «Ricordo che il viaggio durò tanto, cambiai auto molte volte, alla fine arrivai in un posto di montagna, mi dissero che era la provincia del Fujian». I sequestratori lo avevano venduto a una coppia senza figli. Il prezzo: 5.000 yuan, 600 euro, tantissimi soldi per la Cina di allora. «Quei signori mi trattavano bene, ma io ero molto arrabbiato», ricorda ora Jan. Che non si chiamava più così, ma Luo Gang. «Ogni notte quando andavo a letto mi sforzavo di ricordare la mia vera casa, ma mi veniva in mente solo che nel villaggio c’erano due ponti e che vicino passava una grande strada asfaltata».
I GENITORI – Nel Sichuan i genitori di Jan impazzivano di dolore. Distribuirono manifestini con la foto del loro bambino scomparso. Si rivolsero alla polizia. Ma un ufficiale allargando le braccia disse che ogni anno, solo nella loro provincia, venivano rubati diecimila bambini. Spiegò che la politica che imponeva un figlio unico aveva fatto nascere in Cina il mercato dei sequestri. Le ricerche non portarono a niente. Nel lontano Fujian, Luo Gang ogni notte nel suo lettino cercava di aggiungere un particolare che gli permettesse di ricordare la sua prima vita. Mangiava spesso maiale condito con il sorgo nel suo vero paese. E una volta, un vicino di casa, nel suo nuovo paese, gli disse che aveva usato una parola in dialetto del Sichuan. Due anni dopo, i genitori adottivi morirono. Il bambino visse con i nonni. E con il sogno di tornare.
VENT’ANNI DOPO – In Cina è arrivato Internet, oltre 600 milioni di netizens navigano ogni giorno. Nel mare di blog e di siti ce n’è uno che si chiama «Porta a casa i bimbi perduti». Luo Gang scrisse tutto quello che si ricordava: «Ero alto un metro e dieci circa quando mi portarono via; una cicatrice sulla mano che mi ero fatto giocando con i sassi del fiume; avevo una maglietta rossa con ricamato un cigno la mattina in cui fui portato via; c’erano risaie vicino a casa; c’era stata un’alluvione». Mandò anche una foto che gli avevano fatto i nuovi genitori. E poi aveva disegnato una mappa del suo villaggio, c’erano due ponti, la scuola, la strada asfaltata. I volontari di «Porta a casa i bimbi perduti» ci hanno lavorato sopra. Nel 1990 nel Sichuan non c’erano molte grandi strade asfaltate. Pochi villaggi coltivavano il sorgo. Ma la ricerca non era facile, il Sichuan è una provincia di 500 mila chilometri quadrati, quasi due volte l’Italia, con 80 milioni di abitanti. Sul forum si sono inseguite decine di segnalazioni. Ma alla fine, Luo Gang ha ricevuto una risposta. Ha cercato su Google Maps e ha riconosciuto il suo villaggio. È partito e ha ritrovato i genitori, che lo credevano perso per sempre.
GLI SPAGHETTI -La vera mamma, quando lo ha visto, è scoppiata a piangere. Gli ha chiesto se aveva fame. Perché quello del suo bambino affamato era l’incubo che l’aveva tormentata per migliaia di notti, per ventitré anni. Gli ha preparato una scodella di noodles. «Non pensare a niente, mangia», gli ha detto.
Guido Santevecchi
Fonte: Corriere della Sera