Via i caschi, baci, strette di mano. I gesti dei poliziotti sarebbero un caso

forconi3Le Questure: atti ordinari. Il Siulp: no, siamo solidali con i cittadini

Torino, 10 dicembre 2013 – L’unica cosa che resterà di questa giornata è un casco. Alle 10.30 del mattino piazza Castello è una babele di lacrimogeni e pezzi di granito che volano in cielo. Sembra quasi la conclusione logica di una protesta organizzata non si capisce come e perché, dove non esiste una lingua comune. Il presidio degli ambulanti che doveva bloccare il centro della città ormai è un punticino nascosto in fondo a palazzo Reale. Nessuno ascolta le parole urlate al megafono da un tizio che indossa un cappio al collo. «Noi siamo del popolo, con la valigia di cartone».

I cartelli appesi alle inferriate della residenza storica dei Savoia riflettono lo spirito ambiguo di questa manifestazione, mischiando inviti alla rivolta permanente con quelli di una rivoluzione guidata dai militari. «Come in Cile», dice Santo Marra, uno dei capi. Gli obiettivi della protesta sono davvero uno nessuno e centomila. «Politici, amministratori e sindacati, ladri legalizzati» è scritto sullo striscione più grande. Ma tutto questo è ormai rumore di fondo. Quando in piazza entrano gli ultrà di Toro e Juventus per una volta uniti appare chiaro che quel camion, e quelle parole hanno soltanto svolto una funzione da pifferaio magico.

La piazza adesso è degli ultrà di Toro e Juventus, per una volta uniti, degli ambulanti più aggressivi, di qualche militante di estrema destra, di chiunque abbia frustrazione e rabbia da sfogare. Era nei cromosomi della manifestazione, del resto. Ancora devono cominciare gli scontri e dal megafono si sente una invettiva contro la catena dei supermercati Auchan. «Questi conigli francesi ci rubano il lavoro» urla un ambulante. «E ci portano pure via le mogli» aggiunge scoppiando in singhiozzi. In un calderone del genere l’unica stella cometa è il palazzo della Regione, dall’altro lato della piazza, facile bersaglio di ogni disprezzo, magnete di qualunque rancore. I poliziotti sono schierati spalle al muro, in una posizione complicata. Dal fondo della piazza avanza una moltitudine di tifosi dalle intenzioni chiare. A metà strada c’è un cantiere con tante lastre di granito una sull’altra, in piazza Castello stanno rifacendo il selciato. Gli scontri durano una mezz’ora. Il lavoro della Polizia è complicato da un dettaglio non da poco, in ogni senso. L’età media della forza d’urto protagonista della sassaiola è molto bassa. Sono quasi tutti minorenni, ragazzi in libera uscita dalle loro scuole. La trattativa tra gli uomini della mano della protesta e i capi ultrà decreta la fine dell’esercizio di guerriglia urbana.

A quel punto avviene il gesto che cambia tutto, nel quale ognuno per tutto il resto della giornata e oltre, vedrà riflesso quel che più gli piace, come in una specie di caleidoscopio. Qualche poliziotto della prima fila si libera del casco, se lo toglie per metterlo sottobraccio. Gli applausi dei ragazzi che fino a pochi istanti prima lanciavano pietre grandi come un pugno, fanno capire che sta succedendo qualcosa. «Siete poveri come noi, siete come noi». Sull’altro lato della piazza un drappello di carabinieri viene invitato dalla folla a fare altrettanto. Qualcuno esegue, restando a capo scoperto. Quell’evento in apparenza casuale ha l’effetto di ricompattare una folla che più eterogenea non poteva essere, perché lo scopo primario diventa per tutti la foto, il video, del poliziotto che si toglie il casco, che ripone il manganello. Una reliquia che significa qualcosa più di un semplice ricordo, assume valore simbolico. «Anche loro sono dalla nostra parte». Come la più improbabile delle vittorie. La folla ha un istinto ferino che manca agli apparati. Nel primo pomeriggio anche a Genova si ripete la stessa scena. «Giù i caschi, giù i caschi» urla la gente che forse ha già visto sul telefonino i souvenir torinesi. Dopo i cori, una decina di carabinieri e agenti acconsentono alla richiesta e si mettono il basco.

Il web antagonista intanto esibisce il trofeo dei poliziotti «amici», Beppe Grillo ci scrive sopra un post, qualcuno ovviamente tira in ballo Pasolini e Valle Giulia. La cronaca delle proteste termina qui, dove comincia la politica. Le danze sono aperte dal Siulp, sindacato di Polizia un tempo considerato di sinistra. Il comunicato del segretario Felice Romano sembra un’ode ai forconi. «Togliersi il casco – scrive – in segno di manifesta solidarietà e totale condivisione delle ragioni a base della protesta odierna… è un atto che per quanto simbolico dimostra che la misura è colma e che i palazzi, gli apparati, e la stessa politica sono lontani dai problemi reali dei cittadini e troppo indaffarati ai giochi di potere per la propria sopravvivenza e conservazione della casta». Terribile sarà l’ira degli onesti, è la sua profezia.
A tanto lirismo fa da contraltare la prosa delle due questure interessate, che volando più basso spiegano l’accaduto negando qualsiasi solidarietà o empatia. «Un comportamento ordinario collegato al venir meno dei problemi di ordine pubblico» dice Vincenzo Ciarambino, vice questore di Genova. Da Torino arriva un comunicato con toni ancora più netti. «Un gesto al quale non appare possibile riconnettere significati di condivisione delle istanze dei manifestanti». Sullo sfondo di parole tanto diverse per lo stesso episodio si intuisce il malcontento diffuso tra le forze dell’ordine, uno scontro interno agli apparati di sicurezza. È l’ultimo frutto velenoso di una giornata di caos organizzato della quale non si sentiva alcun bisogno.

Marco Imarisio
Fonte: Corriere della Sera

http://youtu.be/rXEwDY9kpFA