Sentenza Ganzer: accusa fragile. Un Processo istruito dal fratello di un mafioso. Un legale “una sentenza salomonica”

ganzerMilano, 13 dicembre 2013 – La Procura Generale aveva chiesto pene in linea con la Procura di Milano. Ma la Corte d’Appello ha fortemente ridimensionato un quadro tinte fosche, quello dell’accusa indiziale che dipingeva un Generale, conosciuto in tutto il mondo come uno dei massimi esperti di Narcotraffico, Mafia e Terrorismo, come il capo di un manipolo di carabinieri trafficanti che compivano operazioni antidroga spregiudicate.  Un ridimensionamento che emerge da una sentenza emessa oggi, una sentenza che uno dei legali del Generale Ganzer definisce “Salomonica”. Una sentenza che, non avendo avuto il coraggio di porre la parola fine ad una vicenda giudiziaria per molti versi assurda, ha prodotto risultati da “un colpo al cerchio ed uno alla botte.”  4 anni e 11 mesi al Generale Ganzer e 4 anni e 6 mesi al Colonnello Mauro Obinu. Nulla se raffrontati alle pesanti richieste dell’accusa. In primo grado la Procura aveva chiesto ben 28 anni per il Generale. Una pena mai invocata per molti mafiosi e trafficanti. Un risultato che fa ben sperare in Cassazione. Due gli assolti: i marescialli Rinaldi Vincenzo e Lucato Ezio. La pena più alta, 5 anni e 9 mesi è toccata ai carabinieri infiltrati Arpa Rodolfo e Lovato Gilberto.  “Come faccio ad essere felice?” sono state le parole del Maresciallo Rinaldi. “Mi hanno bruciato quasi 15 anni di vita e poi….. sapere che sono stati condannate ingiustamente persone che stimo profondamente e che hanno rischiato come me la vita per la lotta alla criminalità”. Ha aggiunto con le lacrime agli occhi, Rinaldi, un sottufficiale stimatissimo da molti e sempre in prima linea.  Una vicenda cominciata con un’anomalia tutta italiana: a istruire il processo era stato istruito dal PM Bresciano Fabio Salomone, fratello dell’imprenditore mafioso Filippo Salomone, uno dei registi del tavolino¸ l’accordo tra Cosa Nostra ed imprese per la spartizione degli appalti in Sicilia secondo le regole volute da Totò Riina, arrestato dal ROS nell’ambito dell’inchiesta Mafia-Appalti e condannato definitivamente nel 2008 a 6 anni e 6 mesi dalla Cassazione. Domandiamoci allora se sia da paese normale che un Pubblico Ministero con un fratello condannato per tali reati possa occuparsi di antimafia e di un’inchiesta contro una struttura investigativa autrice d’indagini che hanno coinvolto un suo stretto congiunto.  Anche perché, si sa, pescando nel mucchio qualche “reatuccio” lo si trova per chiunque. Un falso ideologico in Italia non lo si nega a nessuno, soprattutto a chi, magari, per “coprire” un informatore, scrive una cosa per un’altra.

Di Angelo Jannone