L’Aquila, 23 dicembre 2013 – “Gravi sono gli indizi consistenti, cioe’ resistenti alle obiezioni, e quindi attendibili e convincenti”. E’ un passaggio delle motivazioni, contenute in un faldone di 148 pagine, della Corte d’Assise d’ Appello dell’Aquila sulla sentenza di condanna di secondo grado a 30 anni nei confronti di Salvatore Parolisi per l’omicidio della moglie Carmela Rea, detta Melania, di 28 anni. “Nel caso in esame – spiega la Corte – la regola di giudizio va necessariamente posta in relazione con l’indubbio carattere indiziario del compendio probatorio raccolto nel giudizio di primo grado”. Intanto uno dei due difensori di Parolisi, l’avvocato Valter Biscotti, ha gia’ annunciato il ricorso in Cassazione contro la sentenza di secondo grado; i termini per presentarlo decorrono dal prossimo 28 dicembre. Secondo la Corte, il risalto mediatico dato alla vicenda potrebbe “avere inevitabilmente influito sulla genuinita’ dei ricordi delle persone informate sui fatti”, ma “cio’ che nella specie conforta l’attendibilita’ delle dichiarazioni testimoniali e’ il riscontrarsi reciproco dei riferimenti anche tra persone che non hanno avuto modo di confrontare le rispettive percezioni”. Per la Corte l’imputato ha “evidentemente mentito” sulla sua presenza nella zona delle altalene visto che “tutte le persone presenti hanno avuto modo di vedersi e ricordare di essersi viste reciprocamente, ma nessuno ha visto Parolisi e la figlia nei pressi delle altalene”. Il 18 aprile del 2011 Melania era uscita dalla sua casa di Folignano (Ascoli Piceno) con il marito, all’epoca caporalmaggiore del Rav Piceno, e la loro bambina di 18 mesi, per fare alcune visite mediche: non vi fece piu’ ritorno e venne ritrovata due giorni dopo, uccisa con 35 coltellate, nel boschetto di Ripe di Civitella (Teramo). In primo grado, il 26 ottobre 2012, Parolisi venne condannato all’ergastolo in un processo con rito abbreviato: il Gup di Teramo, Marina Tommolini, aveva giudicato l’uomo colpevole di omicidio, aggravato dalla crudelta’, dal vincolo di parentela e dalla minorata difesa, togliendogli anche la patria potesta’. “Sono innocente, sono innocente” e’ l’unica cosa che Parolisi disse ai suoi legali in quella circostanza, scoppiando poi in lacrime e urlando la propria innocenza mentre faceva rientro al carcere di Castrogno. Secondo le motivazioni a scatenare la furia di Parolisi contro la moglie sarebbe stato un rapporto sessuale negato. In secondo grado, lo scorso 30 settembre, i giudici d’ appello, nel computo complessivo della pena, sono arrivati all’ ergastolo, che, per effetto del rito abbreviato, e’ stato poi convertito nella condanna a 30 anni. In primo grado i giudici avevano concluso per il carcere a vita con l’aggiunta della pena accessoria dell’isolamento diurno: condizione che aveva determinato ugualmente la condanna all’ergastolo. Dopo la sentenza di appello uno degli avvocati del condannato aveva riferito che l’uomo “si aspettava qualcosa di diverso” e che era rimasto avvilito dalla decisione. Nelle motivazioni, in primo piano anche la ‘distanza’ con la prima sentenza. Secondo la Corte, nel primo grado il tribunale di Teramo ha “in modo del tutto apodittico, senza la benche’ minima motivazione, irrogato la pena perpetua, senza esplicitare, nemmeno per inciso, le ragioni, in fatto e in diritto, che, a fronte del rito premiale prescelto, dovevano ritenersi inadeguate al fine di evitare al Parolisi il carcere a vita”. Parlano di “dubbi” i difensori di Parolisi, Biscotti e Nicodemo Gentile: a una prima lettura, dicono, “la Corte ha di fatto cancellato nei tratti piu’ rilevanti la sentenza di primo grado impugnata. Ma la riforma dei contenuti della sentenza e’ unidirezionale contro l’imputato”. (di Berardino Santilli) (ANSA)