Addio a Sharon: una vita parallela con il nemico Arafat

ariel sharonRoma, 11 gennaio 2014 – I palestinesi non hanno mai dimenticato Ariel Sharon, e l’ultima accusa contro di lui ha a che fare con i rapporti tra il generale israeliano e Yasser Arafat, morto nel 1984 in un ospedale a Parigi. Nelle ore in cui una commissione scientifica accertava la presenza di polonio nel corpo del leader dell’Olp, lo scorso novembre, nel campo palestinese si affermava che a ordire l’omicidio sarebbe stato il suo acerrimo nemico. Ma nel 2004 Arafat, hanno fatto notare Dov Weisglas e Raann Guisin, due dei principali consiglieri politici di Sharon, “era gia’ marginalizzato” e “nessuno penso’ ad avvelenare Arafat o a causargli un danno fisico”. Vite parallele, quelle dei due leader.
A Beirut, il 30 agosto del 1982, durante l’operazione “Pace in Galilea” un cecchino israeliano inquadro’ nel mirino del suo fucile Yasser Arafat.
Ma non tiro’ il grilletto. A salvare la vita al leader palestinese fu Ariel Sharon con un ordine all’ultimo minuto, cui non e’ mai stata data una spiegazione. Si tratti o meno di una leggenda, l’aneddoto rappresenta l’emblema di una stagione politica mediorientale segnata per mezzo secolo dall’odio che ha diviso il capo storico dei palestinesi e il generale israeliano che piu’ di ogni altro ha contrastato per un periodo della sua vita le aspirazioni di un popolo senza Stato. Quasi coetanei – sono nati a distanza di un anno l’uno dall’altro – Sharon e Arafat hanno sfruttato in politica il carisma acquisito sul campo militare a partire dagli anni della nascita e del consolidamento dello Stato di Israele.
Sharon entra poco piu’ che ventenne nell’Haganah, l’esercito clandestino israeliano, mentre Arafat ha una preparazione piu’ specificatamente politica, nata al Cairo con la Fratellanza musulmana, che subito si traduce in azione militare con la fondazione di Al-Fatah. Nell’arco di mezzo secolo i due si sono fronteggiati a distanza e il successo internazionale dell’uno ha significato la sconfitta politica e militare dell’altro.
Accadde anche quando di fronte al presidente statunitense Bill Clinton il leader palestinese riusci’ a stringere la mano all’allora premier Yizthak Rabin, col quale, nel 1994, condivise il premio Nobel per la pace. Sharon non la prese bene. Ridimensionato sulla scena politica interna da un processo di pace che esigeva una visione pragmatica e dal ricordo della pagina nera dei massacri di Sabra e Chatila, si prese la rivincita nel 2000 con la “passeggiata” sulla spianata della moschea di Al-Aqsa, un gesto provocatorio che scateno’ la seconda Intifada e mise all’angolo Arafat. Fu il leader palestinese, in quella occasione, a difettare di pragmatismo e a assumere un atteggiamento ambiguo nei confronti dei kamikaze di Hamas. Era quello che Sharon si aspettava. Nel 2001 il primo ministro israeliano vieto’ al leader palestinese di recarsi a Betlemme per la messa di Natale e comincio’ un assedio alla Muqata che si concluse solo con la morte di Arafat. Nello stesso tempo Sharon avvio’ la svolta che avrebbe portato al ritiro degli insediamenti dei coloni da Gaza.
Scomparso Arafat, il leader del Likud poteva mettere in atto il suo pragmatismo fino all’esito piu’ radicale, l’abbandono al proprio destino di quei coloni che lui stesso aveva fatto insediare a meta’ degli anni Settanta da ministro dell’Agricoltura. Ariel Sharon e Yasser Arafat non si sono mai incontrati di persona. Forse nel loro intimo desideravano la reciproca eliminazione fisica. Il regolamento di conti sarebbe potuto arrivare durante la guerra civile libanese, quando Arafat era nella Beirut assediata dagli israeliani. Ma tutti e due avevano bisogno l’uno dell’altro. E fu, probabilmente, questa ragione che il 10 agosto del 1982 impedi’ al cecchino israeliano di far fuoco. (AGI)