Dopo l’operazione: ”ora mi vedrete come sono”
Londra, 16 gennaio 2014 – Diceva Ugo Foscolo che le lacrime ci hanno insegnato la verità, ma hanno bisogno di un sorriso che le consoli. Se è così, Stefanie Grant, fino a 25 anni, non ha potuto godere di nessuna consolazione. Perché negli ultimi tredici anni avrà pur pianto, ma non ha mai sorriso. Ha passato l’adolescenza senza ridere. La sua faccia era pressoché inalterabile, un calco di gesso. O uno scherzo della natura, come diceva qualcuno. A causa di una protrusione alla mascella inferiore. Ragazza bellissima, ma bloccata in una smorfia asimmetrica che non le permetteva di esprimere la sua gioia, anche quando c’era.
È lei a raccontarlo, in un’intervista pubblicata dal Maily Daily . È la storia di una bambina che a undici anni, a Londra, ha scoperto di avere una malformazione, forse dovuta al parto (con le pinze): sette denti rimossi e un tutore portato fino al 2011, quando la mandibola si era sviluppata del tutto. I medici avevano detto di poter intervenire. Sono stati anni di dolore e di tristezza coatta. Un volto allungato, leggermente spostato a sinistra nella parte inferiore e inalterabile, sentimenti inespressi.
Così Stefanie ha dovuto frustrare, per anni, tutta quella ampia gamma di emozioni che vengono espresse dall’alterazione sorridente del volto: ilarità, scherno, dolcezza, simpatia, complicità, malinconia, soddisfazione, sensualità, timidezza, piacere e chissà quante altre. E allo stesso modo, per chi gli stava intorno, decifrare i suoi moti dell’animo, senza mai vederli specchiati in un sorriso, è stato pressoché impossibile, per oltre un decennio. L’uomo è l’animale che ride, ha scritto il poeta Edoardo Sanguineti. Nel neonato è un riflesso banale, una smorfia che viene addomesticata e battezzata come sorriso. Poi, con la crescita, ogni individuo assume un sorriso caratterizzante, unico e irripetibile.
Insomma, non c’era niente che potesse, in apparenza, smuoverla nel profondo, Stefanie: tranne che attraverso il pianto. Ma senza nessuna consolazione sorridente. Un problema persino dormire, mangiare, studiare: «Dolori orribili», ricorda, «la gente che incontravo mi fissava la parte inferiore del viso, storta e immobile: si stupivano che non ridessi mai».
Finché, quando i denti lentamente si sono rimessi in linea, la promessa degli specialisti viene mantenuta. Nell’agosto 2011, la prima operazione, durata otto ore, una piastra di titanio, le viti, la mascella superiore sospinta in avanti di due millimetri e altrettanto di lato; quella inferiore spostata indietro di nove millimetri. Chi l’avrebbe detto che la felicità può essere una questione di millimetri. A vederla in fotografia, distesa nel suo letto d’ospedale, non sembra la Stefanie di questi giorni: gli occhi semichiusi, la faccia deturpata e tumefatta, la bocca ferma in una tristezza apparentemente senza rimedio. Quattro mesi dopo, in dicembre, un nuovo intervento, per rimuovere le viti. «Mi sono guardata allo specchio la prima volta tre giorni dopo la prima operazione: una palla di bowling».
Poi, a poco a poco, l’uscita dalla fissità prestabilita, la rinascita: «Ho dovuto imparare di nuovo a masticare e a parlare». E soprattutto a sorridere. Il volto ritrova la sua geometria: e lo specchio, come nelle fiabe che si rispettino, dopo sei mesi restituisce finalmente le giuste proporzioni, la grande bellezza di Stephanie: gli occhi verdi, i lineamenti fini, le labbra sottili, i denti bianchi e regolari, un profilo dolce: «Essere in grado di esprimere la gioia con un sorriso, vedere il mio viso come avrebbe sempre dovuto essere: è una nuova prospettiva di vita. E adesso le persone mi guardano in modo diverso». Come avrebbero sempre dovuto guardarla.
Il suo viaggio verso il sorriso viene ora raccontato da Stefanie in un blog, dove spiega ai maligni che non si è trattato di chirurgia estetica, ma di chirurgia dei sentimenti.
Paolo Di Stefano
Fonte: Corriere della Sera