Palermo, 16 maggio 2014 – «Contro di me nessuna prova ma solo illazioni non documentate e calunnie». Lo ha detto il generale Mario Mori rendendo dichiarazioni spontanee nel processo per la trattativa tra Stato e mafia, in corso davanti alla Corte d’assise di Palermo. Mori, imputato per minaccia a corpo politico dello Stato, ha contestato in particolare le accuse nei suoi confronti del collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso, definendo le dichiarazioni del pentito di mafia: «Asserzioni non documentate a cui conseguono deduzioni improbabili se non assurde». Secondo Mori le dichiarazioni di Lo Verso, ex campiere del boss Bernardo Provenzano, sarebbero state «frutto esclusivo di acquisizioni mediatiche». Secondo Lo Verso Provenzano gli avrebbe confidato che durante la latitanza il boss godeva della copertura anche dell’Arma. «L’ammessa conoscenza a priori del processo nel quale era teste dell’accusa – dice ancora Mori – l’interesse personale che sottendono le sue dichiarazioni e l’accertata ‘modestia criminalè di Lo Verso, hanno suscitato fondati dubbi circa attendibilità e coerenza complessiva delle affermazioni da lui rilasciate». E cita anche le motivazioni della sentenz di assoluzione del processo che vedeva imputato per favoreggiamento a Cosa nostra lo stesso Mori. «Risulta in maniera evidente come le affermazioni rilasciate da Lo Verso siano offuscate dalla considerazione che appare difficilmente credibile come un capo mafioso della levatura e della notoria prudenza di Bernardo Provenzano» facesse confidenze «a una persona che non era nemmeno ritualmente affiliata a Cosa nostra». (Ter/Zn/Adnkronos)