Solo pochi giorni prima, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), organismo di controllo della sanità statunitense, avevano annunciato che circa 75 dei loro scienziati sono stati inavvertitamente esposti a batteri dell’antrace mentre non indossavano l’equipaggiamento di sicurezza. E ancora: la scorsa settimana, sempre i CDC hanno rivelato che il personale addetto ha maneggiato materiali pericolosi in maniera impropria in almeno quattro occasioni negli ultimi dieci anni: spiccano il caso degli agenti patogeni trasportati in sacchetti di plastica da freezer e quello del campione di influenza aviaria spedito a un laboratorio a bassa sicurezza non equipaggiato per riceverlo.
Purtroppo non si tratta di un film. Queste falle fin troppo reali nella sicurezza sono solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di
paurosi errori fatti da chi deve gestire materiali estremamente pericolosi, dai virus alle testate nucleari. Nessuno di questi incidenti ha provocato vittime e nemmeno feriti. Tuttavia, come ha testimoniato davanti al congresso degli Stati Uniti Thomas Frieden, il direttore dei CDC, c’è una grave mancanza nei lavori della sua agenzia: “Quella di una solida cultura della sicurezza”.
Edwin Lyman, uno scienziato che si occupa di questi temi per il programma Global Security dell’associazione non-profit Union of Concerned Scientists, dice di non essere troppo sorpreso dalle recenti rivelazioni. “C’è un livello di noncuranza che si insinua tra le persone coinvolte in questi processi”, spiega Lyman. “In assenza di minacce gravi e impellenti, molte persone abbassano la guardia. Si impigriscono”.
La sicurezza costa
A lungo i centri di ricerca hanno privilegiato l’accessibilità alla sicurezza. Ancora alla fine degli anni Novanta, quando chi scrive studiava scienza in un’importante università statale, agenti patogeni e materiali nucleari venivano conservati in frigoriferi senza lucchetto, a volte a pochi passi dalle aule scolastiche o dalle cucine.
Molte università, laboratori di ricerca e centri medici negli Stati Uniti si sono attivate per migliorare la sicurezza dopo gli attacchi terroristici del 2001, dice Lyman, ma il processo non è stato così completo come molti pensano.
“I materiali radioattivi sono di uso talmente comune, e così utili per la diagnosi e la cura di molte malattie, che spesso è difficile valutare il rapporto costi-benefici di un aumento della sicurezza”, spiega lo studioso. “Applicare standard molto rigorosi, per far fronte a pericoli tutto sommato remoti, ha un costo che finirebbe per far aumentare il prezzo delle terapie”.
Ma anche minacce così remote sono motivo di preoccupazione. I materiali radioattivi medici potrebbero cadere nelle mani sbagliate ed essere trasformati in “bombe sporche”, esplosivi comuni capaci di disperdere materiale radioattivo.
Nel 2012, James Blair, colonnello dell’esercito e presidente del Center for Health Care Emergency Readiness, ha sostenuto davanti al Congresso di Washington che “quattro su cinque tra ospedali, banche del sangue e laboratori universitari di ricerca non applicano gli standard di sicurezza corretti ai materiali radioattivi di uso medico o scientifico. Eppure, secondo il Defense Science Board – il comitato di consulenti scientifici del Dipartimento della Difesa – quei materiali costituiscono l’arma atomica più pericolosa a disposizione di eventuali terroristi”.
Il dibattito su questo tema si è acceso quest’estate in Massachusetts. Le autorità dello Stato hanno chiesto agli ospedali di sostituire gli irradiatori di sangue – usati per trattare il sangue prima delle trasfusioni – con macchinari ai raggi X, più costosi. Gli irradiatori tradizionali contengono cloruro di cesio, una polvere radioattiva pericolosa che potrebbe anche essere utilizzata nella costruzione di bombe sporche.
Il National Research Council, un’agenzia governativa indipendente, ha chiesto di vietare del tutto queste macchine. Nel 1985, in Brasile, quattro persone morirono e 249 rimasero contaminate per un’accidentale esposizione al cloruro di cesio. Altre 112.000 dovettero essere messe sotto osservazione.
Nel 2012, un’inchiesta commissionata dal Congresso ha messo in luce diverse falle nei sistemi di sicurezza dei centri medici. In un ospedale di cui non è stato fatto il nome, i materiali radioattivi erano conservati in una stanza chiusa, ma la combinazione della serratura era scritta su un post-it affisso sulla porta della stessa stanza. In un altro gli irradiatori erano tenuti in un seminterrato aperto al pubblico. E una delle macchine era anche posata su una pedana con le ruote.
Ci siamo persi le bombe
Ma tenere sotto controllo le sostanze pericolose non è difficile solo in ospedali e laboratori. Anche nelle strutture che gestiscono materiali nucleari di alta qualità per uso militare o civile, come il plutonio e l’uranio arricchito, “l’insicurezza è cronica”, denuncia Lyman.
Nel 2012, una spettacolare falla nella sicurezza permise a tre pacifici manifestanti, tra cui una suora di 82 anni, di infiltrarsi nel National Security Complex di Oak Ridge, in Tennessee, un centro di stoccaggio di armi e combustibili nucleari. Prima di essere arrestati i manifestanti ebbero il tempo di appendere striscioni, cantare canzoni e offrire da mangiare alle guardie.
“Non fu un episodio occasionale”, commenta Lyman, “ma una dimostrazione delle tante falle nella sicurezza di quel sito”. Nello stesso anno, una squadra della Halliburton perse una barra di combustibile nucleare durante un trasporto nel deserto del Texas. “È la prima volta che perdiamo una barra radioattiva da almeno cinque anni a questa parte”, dichiarò un portavoce della Nuclear Regulatory Commission: una giustificazione meno rassicurante di quelle che probabilmente erano le sue intenzioni.
Il Dipartimento dell’Energia si è attirato più volte i rimproveri delle agenzie investigative del Congresso per l’inadeguatezza dei suoi sistemi di sicurezza e di supervisione dell’operato dei contractors, come appunto la Halliburton. E anche l’esercito ha avuto non pochi problemi. Secondo un rapporto del 2014 redatto dallo US Army War College, negli anni gli organi militari americani hanno smarrito o perso momentaneamente le tracce di oltre cinque tonnellate di materiale nucleare per scopi bellici: abbastanza per fare più di un migliaio di bombe. A metà degli anni Sessanta, ad esempio, 100 chili di uranio adatto alla confezioni di bombe scomparve dai depositi di una società privata a cui il Dipartimento della Difesa americano aveva affidato un appalto; tutto fa pensare che siano poi finiti in Israele, che li ha utilizzati per il lancio del suo programma nucleare.
Più di recente, nel 2007, sei missili da crociera con testate nucleari furono caricati per sbaglio su un bombardiere dell’Aeronautica militare, che li trasportò dal North Dakota alla Louisiana senza alcuna precauzione di sicurezza. Nel 2010, l’Aeronautica perse in parte il contatto con 50 missili a causa di un problema di hardware.
Gran parte del pubblico crede che materiali pericolosi come i virus agenti del vaiolo e il plutonio siano tenuti sotto chiave in stretta sicurezza. Ma la realtà sembra essere molto diversa. Quando si tratta di sostanze così pericolose, possono davvero essere tollerate falle e mancanze?