La vicenda di NTV, società creata nel 2006 per entrare nel settore dei treni ad alta velocità rompendo così il monopolio di Trenitalia e liberalizzando di fatto il settore TAV, ci dimostra ancora una volta che siamo in Italia e che qui un capitalismo sano, che permetta a tutti un ingresso nel mercato senza barriera alcuna e senza che siano creati ulteriori ostacoli, non esiste: la società che gestisce i treni “.italo” nei prossimi giorni potrebbe annunciare la messa in mobilità di circa 300 dei suoi dipendenti, quanto basta per far presagire a qualcuno il fallimento.
In effetti i numeri inanellati da “.italo” non sono affatto incoraggianti: nel 2013 ha accumulato debiti per 76 milioni di euro, negli ultimi due anni 153 milioni, il debito totale ammonta a 781 milioni di euro. Ci sono ben due banche esposte, Intesa-San Paolo (che tra l’altro detiene il 20% delle quote societarie di NTV) e Mediocredito Italiano, controllata sempre da Intesa-San Paolo: la prima vanta un credito verso NTV di 127 milioni di euro, la seconda di 424 milioni. Con queste premesse, il break even point, ossia il punto in cui i costi sostenuti fino a quel momento e i ricavi si eguagliano, probabilmente non sarà raggiunto nel secondo semestre 2014 come invece la società si era prefissata.
Questo mezzo fallimento è solo in parte da imputare al management di NTV, che non è stato evidentemente in grado di reggere la concorrenza calcolando male i costi rapportati ai passeggeri serviti: che ci sia stato nel giro di un biennio un aumento di clientela da 2 milioni a 6,2 milioni conta relativamente poco. Ma a dirla tutta, al netto degli errori, la colpa del fallimento o almeno molta parte di esso è del sistema Italia e delle sue finte liberalizzazioni.
Dal 1999, in adempimento all’abrogazione di una vecchia direttiva europea, in Italia il d.lgs. 146/99 ha imposto la separazione tra il gestore ferroviario e il gestore della rete ferroviaria, in altre parole la medesima società non poteva occuparsi sia del trasporto ferroviario sia della manutenzione dei binari, in quanto si è ritenuto che ciò danneggiasse l’ingresso nel mercato per altri soggetti; in ottemperanza al decreto pertanto sono nate nel 2000 Trenitalia, che si occupa del trasporto viaggiatori e merci, e nel 2001 RFI, che invece gestisce la linea.
La separazione pertanto è avvenuta, peccato che sia solo sulla carta: entrambe infatti sono al 100% di proprietà di Ferrovie dello Stato italiane S.p.A., a sua volta posseduta al 100% dal Ministero dell’Economia. La forma è cambiata, la sostanza è rimasta sempre la stessa.
Con queste premesse, non ci vuole molto a capire perché “.italo” soccomba dinanzi ai “Frecciarossa” e i “Frecciargento” di Trenitalia. Per utilizzare la rete ferroviaria, ogni anno NTV versa nelle casse di RFI e quindi alle Ferrovie dello Stato 120 milioni di euro; costo che Trenitalia sostiene solo formalmente poiché nel suo caso si tratta di passaggio di liquidità da una filiale all’altra del medesimo gruppo ferroviario: di fatto è come se Trenitalia non pagasse.
Passando al costo dei biglietti, Trenitalia per i suoi treni veloci ha scatenato una vera e propria guerra dei prezzi (NTV per questo motivo ha presentato ricorso all’Antitrust): grazie alla diversificazione delle sue attività e quindi grazie alle maggiori entrate anche da altri settori, può permettersi di praticare per i propri servizi prezzi inferiori a quelli di mercato, cosa che NTV invece non può fare. Da notare che Trenitalia può comportarsi in questa maniera poiché ha una posizione dominante, derivata dalla sua condizione di ex monopolista e dal fatto di poter contare in ogni caso su aiuti, diretti e non, provenienti dallo Stato; NTV invece, sebbene abbia un management che conosce bene la politica e i politici, non può contare sullo stesso apparato.
L’ultima mazzata è arrivata infine dal Ministero dello Sviluppo Economico che, abolendo una agevolazione fiscale introdotta nel 1963, ha aggravato i costi di altri 20 milioni di euro circa.
Quella tra NTV e Trenitalia non è pertanto una libera concorrenza tra due imprese alla pari, ma un duello tra un gigante pubblico con un apparato abnorme e una vasta flotta da una parte, una impresa giovane con una flotta di soli 25 treni dall’altra. David non vince sempre contro Golia.
In un libro del 2012 intitolato “Manifesto capitalista”, l’economista Luigi Zingales sostiene che in America per arricchirsi bisogna avere una buona idea e svilupparla mentre in Europa bisogna riuscire ad ottenere una concessione governativa in un certo settore; a quanto pare in Italia non basta neppure la concessione governativa, perché lo Stato non permette una vera concorrenza nei vecchi monopoli. NTV ci ha coraggiosamente provato, ora però la sua storia rischia di finire a breve: Trenitalia ha fatto valere tutta la sua forza, e questa vicenda ci insegna che nel Belpaese non è possibile fare impresa in concorrenza con lo Stato, si finisce schiacciati dal Leviatano giuridico e fiscale.
SC