A Venezia premiati i film che raccontano l’ambiente

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Niente Leone D’oro? Poco male. A Venezia non si trema solamente in attesa dei giudizi insindacabili della giuria per il premio più ambito. Per qualche regista è altrettanto importate sapere che il proprio film è considerato il più eco-sostenibile di tutti. Come “il Postino” di Andrej Konchalovsky, che si è aggiudicato il Green Drop Award, il premio assegnato dall’associazione Green Cross Italia e Città di Venezia al film che meglio abbia interpretato i valori della sostenibilità ambientale tra quelli in concorso alla 71ima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

La giuria, presieduta da Silvia Scola e composta da Blasco Giurato e Chiara Tonelli, ha ritenuto “The postman’s white nights”, questo il titolo originale, «un’opera di profonda riflessione sui rapporti fra uomo e uomo e fra uomo e natura». Il film premiato racconta la storia di una comunità in uno sperduto villaggio russo sul lago Keno. I pochi abitanti possono raggiungere il resto del mondo solo attraversando in barca un lago. Nonostante nelle vicinanze sorga una base spaziale che usa tutte le più moderne tecnologie, gli abitanti del villaggio vivono come un millennio fa, producendo per se stessi solo il necessario per la sopravvivenza.

«Negli ultimi anni ho cominciato a pensare che il cinema moderno stia cercando di liberare lo spettatore da qualsiasi forma di contemplazione», spiega Konchalovsky. «Questo film è il mio tentativo vedere con gli occhi di un “neonato” il mondo che ci circonda».

Da anni infatti gli ambientalisti ritengono che il messaggio ambientale non può essere affidato solamente alla scienza ed al giornalismo. «Il cinema può fare molto per l’ambiente, in termini di divulgazione di stili di vita sostenibili, di promozione del patrimonio artistico, culturale e ambientale e, sotto il profilo tecnologico, per ridurre gli impatti della stessa industria dello spettacolo» ha detto Marco Gisotti, direttore del Green Drop Award.

In Italia l’industria dei film produce circa 5.600 tonnellate di CO2 l’anno, tra luci, effetti speciali, viaggi, montaggio e post produzione. Molti studi oggi si impegnano a compensare le emissioni di CO2 acquistando certificati verdi, ovvero pagando per sostenere progetti di riforestazione o riduzione emissioni. Secondo il produttore cinematografico Carlo Cresto-Dina è possibile tuttavia fare di più, riducendo durante la fase di produzione le emissioni. «Noi abbiamo studiato un modus operandi attivo per contenere gli impatti ambientali» ha dichiarato Cresto-Dina. «Per questo abbiamo inventato un disciplinare, un set di regole, che si chiama EcoMuvi». Grazie a questo protocollo si possono ottimizzare risorse, minimizzare l’uso di materiali, contenere gli sprechi alimentari. «Il set di un film è una carovana, che mima e ripete quasi tutto quello che avviene in una vera città. Sul set si mangia, si cuce, si produce energia, si dipinge, si costruisce e si distrugge, si bagna e si asciuga», dice Cresto-Dina.

Quindi come si possono ridurre gli impatti nella vita quotidiana, altrettanto si può fare sul set.
«Anche per l’industria del cinema, come già accaduto per altri settori», afferma Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera «è arrivato il momento di accettare la sfida della green economy e di scommettere sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Un processo in atto in tutto il mondo che testimonia una sempre più diffusa sensibilità per i temi dell’ambiente, radicata anche in Italia».

Recentemente Realacci ha presentato un’interrogazione ai ministri della Cultura e dell’Ambiente, chiedendo l’istituzione di forme di incentivazione per ridurre l’impatto ambientale delle produzioni cinematografiche. Una pratica che sarebbe bene rendere obbligatoria in fase di valutazione di finanziamenti pubblici statali nazionali e regionali.

La Stampa

LCSO