Ortofrutta, pescherie e fiorai colpiti dalla nuova Tari

cassonettiCos’è che hanno in comune, oggi, una rivendita di frutta e verdura da appena 30 metri quadrati, un “baretto” da 50, un alimentari da 100, un negozio di scarpe da più di 200 e una filiale di banca da quasi 400? Pagano più o meno la stessa tassa sulle “scovazze”: 1.000 euro l’anno. Ne basta la metà, 500 euro, per una falegnameria da 130 mq, piuttosto che per lo studio di un libero professionista o per un salone d’acconciature poco sotto i 100. Ce ne vogliono invece parecchi di più, attorno ai 4.000 euro, per una trattoria da 150 mq, per un’autofficina da quasi 800 o, ancora, per un capannone industriale sopra i 2.000. Morale: i più tartassati qui sono proprio i “botteghini” d’ortofrutta, al pari (come vedremo, e si tratta d’una conferma rispetto all’anno prima) di pescherie e fiorai, seguiti a ruota da ristoratori ed esercenti pubblici in genere.

A volerci perdere il sonno, e pure la testa, il gioco dei metri quadrati che cambiano a seconda della tipologia d’utenza presa in considerazione, il tutto mentre il costo della bolletta resta uguale, potrebbe andare avanti chissà quanto. È però un gioco che ben poco fa ridere, visto che è di imposte, per l’appunto, che si sta parlando. Si sta avvicinando infatti anche l’ora della Tari, il nuovo tributo locale dovuto per lo smaltimento dei rifiuti, che manda in pensione dopo un anno appena la Tares, erede a sua volta della vecchia Tarsu. La scadenza della prima rata del 50% è fissata per il 30 novembre, nel pieno della stagione delle tasse, posto che entro il 16 ottobre va versato l’acconto della Tasi su prima casa e immobili produttivi mentre il 16 dicembre è la dead-line per un doppio saldo: tanto della Tasi stessa quanto per l’Imu, applicata invece su tutto ciò che prima casa non è. La seconda e ultima rata del 50% della Tari, per chiudere il cerchio, andrà corrisposta nell’anno che verrà, entro il 28 febbraio.

Ma come cambia, al di là del nome, e anche al di là dei costi a carico delle famiglie (i cui rialzi come si è già potuto vedere in precedenti nostre “puntate” si fanno più sensibili quanto più cresce il numero dei componenti di un nucleo), l’imposta sui rifiuti urbani per imprese, artigiani, professionisti, negozi, ristoranti e, più in generale, per tutte le cosiddette utenze non domestiche? Sarà più cara che nel 2013 per il 20% delle categorie in cui sono suddivise per legge tali utenze, da un minimo del +0,1% a un massimo del +2,6%. Sarà meno salata rispetto all’anno prima nel restante 80% dei casi, in un range compreso tra il -0,7% e il -14,4%.

Questo però non sta a significare che il Comune ci perderà. O, è più corretto dire, non è che poi ci perderà AcegasAps-Hera, considerato che il tariffario si fonda sul Pef (cioè il Piano economico-finanziario della multiutility concordato con l’amministrazione municipale che l’ha approvato) la cui voce dedicata allo smaltimento dei rifiuti vale grosso modo quella del 2013. Con il trapasso dalla Tares alla Tari, in effetti, il tributo legato alle immondizie cittadine è stato sgravato del contributo statale sui servizi indivisibili di 30 centesimi al metro quadrato, che è stato caricato sull’altrettanto nuova Tasi, acronimo appunto di tassa sui servizi indivisibili anche se poi va a ricadere sostanzialmente sulla prima casa. Confrontando così la Tares 2013 senza quei 30 centesimi al mq destinati allo Stato con la Tari 2014, vien fuori che il Comune (e in parte la Provincia, poiché va ricordato che il 5% del tributo di ieri e oggi è proprio di pertinenza provinciale) va a incassare teoricamente di più, tra il 3,2% e il 4,6% a seconda della categoria chiamata a pagare. Teoricamente, però, come ci tiene sia chiaro l’assessore al Bilancio Matteo Montesano (si legga qui sotto, ndr), dato che si deve ad esempio mettere in conto, oltre a un calo delle utenze da un anno all’altro per effetto della crisi che restringe il gettito tributario complessivo, il fatto che la vera rivoluzione del calcolo della tassa sui rifiuti rispetto al passato c’è stata per legge nel 2013, e che quindi proprio l’anno scorso molte aliquote fissate a preventivo si sono rivelate insufficienti a contribuire a coprire integralmente il valore del servizio fissato allora nel Pef di Acegas.

E veniamo infine a qualche banalissimo identikit. La categoria che si conferma al primo posto per “dovuto” al metro quadrato è quella dei negozi di ortofrutta, pesce, fiori e piante: 33,83. Ed è quella, per giunta, che si vede aumentare l’imposta più di tutte: +2,6% in un anno. Il commerciante di turno, qui, se ha un foro da 50 metri quadrati, viene chiamato a pagare ora una Tari di 1.691 euro contro i 1.648 di Tares nel 2013. Secondi, per entità del tributo (26,29 euro al mq) e per aumento (+2,4%), ecco i ristoratori. Se il gestore di una trattoria o di una pizzeria dispone di locali per 200 mq, per dirne una, dovrà pagare 5.258 euro a fronte dei 5.136 dello scorso anno. Poco più sotto si ritrovano i baristi: 18,69 euro al mq per un +1,9% sul 2013. Ma, come detto, sono di più quelli che, nel cambio, ci guadagnano. O, meglio, che ci perdono meno: tra questi (si veda la tabella, ndr) liberi professionisti, artigiani e negozianti, come pure albergatori, banche e l’abbinata cinema-teatri, che chiude il conto a 1,43 euro al mq per un -14,4% sul 2013.

Trieste, 1 Ottobre – Fonte: Il Piccolo – Piero Rauber