Piano piano qualcosa sta cambiando, potrà apparire poca cosa ma le motivazioni della sentenza per la quale sono stati assolti quattro poliziotti della questura di Milano a seguito del decesso di Michele Ferrulli segna un passo importante e sancisce alcune questioni che sino ad oggi erano considerate tabù.
La sera del 30 giugno 2011 la volante Manforte bis della Questura di Milano intervenne per una segnalazione di schiamazzi, durante l’intervento Michele Ferulli, secondo gli agenti, cominciò ad avere un atteggiamento ostile sfociato in una resistenza all’accompagnamento in questura per ulteriori accertamenti.
La colluttazione che ne è seguita fu però fatale per il fermato che morì tra le braccia attonite dei quattro agenti intervenuti.
Seguirono feroci polemiche, gli agenti furono subito indicati come assassini, l’opinione pubblica già schierata dalle penne del partito dell’antipolizia avevano già scritto la loro sentenza che, questa volta, non è stata quella dell’assise.
Dopo circa 3 anni una sentenza che probabilmente segnerà la storia, un giudice senza mezzi termini sostiene che l’azione della Procura è stata eccessivamente influenzata dalla pubblica opinione, che l’azione di polizia posta in essere nella circostanza non è da considerarsi eccessiva e che l’atteggiamento dei familiari della vittima hanno esacerbato gli animi in maniera così grave da aver turbato il normale svolgimento dell’azione penale che, per ovvie ragioni, deve essere scevra da condizionamenti di carattere ambientale.
Mai in una sentenza si è avuto il coraggio di esprimere concetti così netti verso una attività di indagine, mai un giudice ha sentenziato verso un proprio collega di non essere stato capace di aver agito al di sopra delle parti e di non essere stato in grado di lavorare solo per cercare la verità dei fatti.
Non possiamo che gioire per un sistema che finalmente, con questa sentenza, riconosce i suoi limiti, si rende umano, che dice apertamente “abbiamo sbagliato, non possiamo agire così!”, senza vergogna, senza avere paura di sconfessare se stesso.
Chi è capace di mettersi davvero in discussione è un individuo che sa crescere, anche le istituzioni dovrebbero farlo!
Posso comprendere lo sdegno delle parti civili, delle vittime, di chi ha subito un gravissimo lutto ma se non esiste causalità tra l’azione di polizia e la morte di un soggetto perché si sarebbe dovuto per forza imputare alle divise un grave delitto?
Forse per non sconfessare chi da decenni politicamente lavora alla ricerca di un nemico utile a creare fronti di lotta, di unione, di contrapposizione su cui speculare anche a livello elettorale?
Mi sento di ringraziare pubblicamente il giudice Piffer della Corte d’Assise di Milano per una sentenza che anche se dovesse essere impugnata mette un punto ed evidenzia la fallace umanità di quel sistema giustizia che deve essere riformato non solo nella sostanza ma anche, probabilmente, nella sua essenza più umana e più profonda.
by Spirit of the Night
Roma, 3 ottobre 2014
D.E.