I Monopoli al Governo: «Non vietate le sale da gioco a fumo e alcol»

People stand in front of slot machines iBeve alcolici e fuma. Soprattutto gioca, infila denaro nelle slot machine. Non si sa se faccia anche dell’altro, ma in questo contesto non importa. Basti sapere che per i Monopoli di Stato questo è l’identikit di un contribuente tipo: quello che, giocando e rigiocando alle macchinette, partecipa anche a tenere in piedi i conti asfittici dello Stato.

Guai a togliergli però il goccetto o il tiro di “siga”. Potrebbe incattivirsi e poi magari giocare non gli piacerebbe più. Conclusione: sarebbe incauto non conservare intatta questa tripletta viziosa composta da azzardo, alcol e tabacco. Perché, a cascata, a farsi male sarebbe l’erario. Così si svelano le carte. E quale sia il vero convincimento di un pezzo importante dello Stato (Dogane e Monopoli, una delle tre agenzie fiscali italiane insieme a Entrate e Demanio): provare a introdurre limiti e regole al gioco rischia di provocare un’autenticadébâcle delle entrate erariali. Il quadro: si sta discutendo della nuova legge sul sistema dei giochi in Italia, che ha riunito dieci proposte giunte un po’ da tutte le forze politiche nel recente passato.

La commissione bilancio della Camera sta analizzando le coperture economiche dei provvedimenti che potrebbero essere introdotti. Via all’esame dei provvedimenti prossimi venturi. E subito ci s’imbatte in una prima, macroscopica contraddizione. Si scopre che, mentre i parlamentari stanno pensando a norme severissime sulla pubblicità all’azzardo (sia pur legale), che arrivino al totale divieto, le cose nella realtà vanno diversamente. Nel momento in cui lo Stato dà la concessione alle società dei giochi, le obbliga a reinvestire in promozione, in pubblicità una parte degli introiti: un affare da più di cento milioni di euro l’anno. Questa è la clausola contenuta nei contratti di concessione.

La pubblicità è l’anima del commercio: quale leva migliore per attirare i cittadini a sfidare la sorte e impiegare i loro risparmi alla ricerca di una vincita che cambi la vita, o almeno qualche giorno della loro esistenza? «Così non ha senso – commenta il deputato Pd Lorenzo Basso, uno dei promotori della riscrittura delle regole per dar norme più rigide e dignitose a tutto il settore – facciamo in modo che quei soldi non vadano in réclame, ma nei fondi per il sostegno alla cura delle ludopatie».

Le relazioni dell’Aams (l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) redatte dalla direzione normativa e affari legali giunte in commissione (insieme a quelle richieste al ministero della Salute e alla Ragioneria generale dello Stato) spiegano anche altre cose. La prima: «Le entrate erariali dei giochi registrano una contrazione di oltre il 4 per cento»rispetto al 2013. Un’«importante riduzione che corrisponde al solo settore degli apparecchi a circa 200 milioni». Quali i motivi? C’è crisi dappertutto, dappertutto c’è crisi. L’offerta si riduce«per effetto delle normative antigioco, in particolare la distanza da alcuni luoghi definiti “sensibili”». come quelle introdotte a Genova e dalla Regione Liguria. E poi perché aver aumentato la tassazione, quella del Preu (il Prelievo erariale unico) «riducendo i margini degli operatori ha comportato la fuoriuscita dal mercato di alcuni di loro». Una riduzione, in un anno, di 24 mila attività. Conclusione: ogni azione per ridurre il numero delle slot e delle videolottery«provoca una riduzione del relativo gettito».

In realtà i dati non sono così chiari, come fa notare chi contesta l’analisi dei Monopoli. Con l’aumento delle tasse, nel 2013 e nel settore delle Videolottery, la raccolta delle scommesse è calata ma gli introiti erariali hanno avuto un exploit rispetto all’anno precedente: «La riprova che si possono risparmiare e tasche dei cittadini aumentando le entrate». È vero ribatte l’Aams, ma il dato sta già andando alla rovescia nel 2014, proprio perché molti operatori non ce l’hanno fatta a sopportare la pressione fiscale.

Poi si arriva a un punto importante. I divieti, ipotizzati, riguardanti il divieto totale di fumo e di mescere alcolici nei mini-casinò di quartiere. E qui il ragionamento espresso nel documento firmato dal direttore degli affari legali Italo Volpe dell’Aams raggiunge vette inarrivabili. Attira l’attenzione sui previsti divieti di alcol e spiega: «È di comune conoscenza, ovvero di facile intuizione, che la pratica di alcune attività (ludiche o a componente ludica o comunque implicante individuale soddisfazione) è suscettibile di essere incisa, o comunque fortemente disturbata, da condizionamenti della condotta propria del soggetto che le pratica». Non si capisce un granché ma ci proviamo: chi gioca non vuole rotture di scatole, come impedimenti o divieti.

Ancora: «La pratica del gioco, da sempre, per taluno, convive con il soddisfacimento di altri desideri, quali il fumo e l’assunzione di bevande non analcoliche». Conclusione: in meno andrebbero a giocare e le entrate del fisco calerebbero ancora. E allora addio brindisi, con quelle «bevande non analcoliche».

Fonte: Il Secolo XIX – Marco Menduni

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