12 Gennaio 2015 – L’ex pm Antonio Ingroia oggi fa l’avvocato. E due giorni fa ha indossato la toga per difendere i presunti complici di Massimo Ciancimino, imputati per il riciclaggio del tesoro del padre, don Vito, ex sindaco mafioso di Palermo. L’inchiesta è quella del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che per incastrare prima Ciancimino Junior e poi i suoi supposti sodali, si è avvalso della collaborazione del colonnello Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo, l’uomo che arrestò il boss dei boss, Totò Riina. Ed è la stessa indagine che fece venire fuori le intercettazioni in cui Ciancimino affermava di avere libero accesso al computer dell’allora procuratore aggiunto di Palermo, cioè Ingroia stesso. Il punto è che, invece di badare alle circostanziate accuse che pesano sui sette imprenditori imputati, fra cui Victor Dombrosky, rumeno, e Raffaele Valente, difesi proprio da Ingroia, l’ex pm si è concentrato sulla figura del capitano Ultimo e quindi anche su Pignatone. Nel corso dell’udienza, infatti, l’ex magistrato ha collegato le accuse a Ciancimino, già condannato per riciclaggio, al processo sulla Trattativa Stato-Mafia, nel quale il figlio di don Vito risulta essere imputato per concorso esterno in associazione mafiosa ma anche testimone. Per l’ex togato di Palermo, infatti, il processo romano sul riciclaggio si basa su «un’indagine nata su input del colonnello De Caprio per distruggere e azzoppare la credibilità di Ciancimino e depotenziare così il processo palermitano sulla trattativa Stato-Mafia». Ora, a parte che quel processo si è depotenziato da solo, visto che i procedimenti paralleli contro i presunti protagonisti della «Trattativa», cioè i carabinieri del Ros, hanno visto solo assoluzioni, la domanda è: occorre davvero un’inchiesta di Pignatone e Ultimo per screditare Ciancimino? Pare di no. La Dia di Caltanissetta, ad esempio, dopo aver indagato su Massimino nell’ambito dell’inchiesta per calunnia nei confronti dell’ex capo della Dis, Gianni De Gennaro, è arrivata a conclusioni che non lasciano dubbi: «Una personalità – scrivono gli investigatori sul figlio di don Vito – alla ricerca di suggestioni coloristiche», un uomo abituato a «inventare circostanze inesistenti» e protagonista di «performance teatrali non comuni» che si dispiegano in «reiterate e talvolta plateali bugie». Ad «azzoppare la credibilità» di Ciancimino, dunque, non è Ultimo, come vorrebbe Ingroia, né tantomeno Pignatone. D’altronde, le patacche di Massimino sul misterioso «Signor Franco», il fantomatico agente dei servizi segreti che avrebbe fatto da tramite fra lo Stato e la mafia per «trattare», rivelatosi essere un povero barista, appartengono esclusivamente a Ciancimino stesso. E se Massimino finisce sotto processo per calunnia, per aver detto che il signor Franco è invece De Gennaro, la colpa è forse del colonnello De Caprio e di Pignatone?
(fonte Luca Rocca su Iltempo)
A.P.