24 Gennaio 2015 – La “parabola discendente” della magistratura italiana non è più solo nella testa di chi ha sempre avuto in uggia la politicizzazione di pm e giudici e l’innegabile protagonismo esibito da certe toghe. Adesso, infatti, a mettere il sigillo sulla “decadenza” dell’ordine giudiziario, sono due rappresentanti dello stesso, e cioè Gianfranco Ciani e Giorgio Santacroce, rispettivamente Procuratore generale e Primo presidente della Corte di Cassazione. Ieri, in occasione dell’apertura dell’Anno Giudiziario, entrambi si sono resi protagonisti del lancio di una sfilza di critiche al “potere togato” da far impallidire i detrattori storici dei pm nostrani.
D’altronde, non era facile far finta di niente. Di fronte a una magistratura che ispira sempre meno fiducia negli italiani, alle notizie di un Nino Di Matteo, procuratore di Palermo impegnato nel traballante processo sulla presunta Trattativa-Stato mafia, che i grillini vorrebbero candidare a presidente della Repubblica, a uno scontro senza esclusione di colpi alla procura di Milano fra il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, e l’aggiunto Alfredo Robledo (di cui il pg della Cassazione ha chiesto l’immediato trasferimento), a un ex pm di Mani Pulite, Piercamillo Davigo che scende in piazza col M5S per partecipare stasera alla cosiddetta “Notte dell’onestà”, a un Csm immobile che sempre decide di non decidere, e a processi penali e civili dalla lunghezza infinita e capaci di sfinire i cittadini, obiettivamente dal Palazzaccio non potevano voltarsi dall’altra parte e aspettare la fine della buriana. E infatti così non è andata.
Santacroce, avendo davanti a sé un ex magistrato diventato presidente del Senato (Piero Grasso) non ha nascosto nulla, parlando di “parabola discendente” della magistratura dopo la stagione di Mani Pulite e di “disaffezione” dei cittadini per quelle che ha definito «credenziali mortificanti» mostrate dalla magistratura (il riferimento è anche al penoso stato delle carceri). Per Santacroce, se gli italiani non hanno più voglia di plaudire alle toghe, è anche per le «frequenti tensioni e polemiche tra magistrati», le loro «cadute di stile, esposizione mediatiche improprie e forme di protagonismo», nonché «l’esasperazione di particolarismi associativi in seno al Csm». E se l’Italia non riesce a trovare la necessaria coesione fra attori istituzionali, sociali e politici, è anche per colpa delle contrapposizioni nella stessa magistratura, che ha impedito «la realizzazione di riforme sostanziali e condivise», appannando «l’immagine di indipendenza e imparzialità» dei magistrati e «diffondendo una crisi di fiducia».
Anche il Pg Ciani c’è andato pesante parlando di pm che «hanno dimostrato un eccesso di debolezza nei confronti delle lusinghe dell’immagine, della popolarità e soprattutto della politica». Da qui la richiesta di «un tempestivo intervento del legislatore» che ponga fine a quelle che in gergo si chiamano «porte girevole» fra magistratura e politica e impedisca, in futuro, «tensioni e contrapposizioni che hanno caratterizzato, anche lo scorso anno, i rapporti tra politica e magistratura». Attenderemo i fatti.
A.P.