Kyala, la lettera della cooperante: “Non pagate il riscatto”

ImmagineKayla Jean Mueller, la cooperante 26enne dell’Arizona rapita dall’Isis ad Aleppo il 4 agosto del 2013, è morta. «In nome del popolo americano», si legge nel comunicato della Casa Bianca, «Michelle e io rivolgiamo le nostre più profonde condoglianze alla famiglia di Kayla, ai suoi genitori Marsha e Carl, a suo fratello Eric e a tutti coloro che amavano Kayla. In questo momento di inimmaginabile sofferenza, il Paese si unisce al loro dolore». E dopo le parole di vicinanza arrivano quelle della vendetta. «Non importa quanto tempo ci vorrà», prosegue il presidente Obama, «gli Stati Uniti troveranno e porteranno davanti alla giustizia i terroristi responsabili per la prigionia e la morte di Kayla».
A inizio febbraio Obama, in una intervista alla Nbc, aveva parlato di «una donna americana» nelle mani dell’Isis. Venerdì scorso il gruppo terroristico sunnita che controlla parte di Siria e Iraq, ne aveva annunciato la morte a seguito di uno dei bombardamenti aerei della Giordania, che aveva ripreso i raid sulla città siriana di Raqqa dopo l’esecuzione del pilota giordano Muadh al-Kasasibah, catturato il 24 dicembre e arso vivo il 3 febbraio. Amman, però, aveva parlato di «propaganda del Califfato». Secondo i media statunitensi, il padre e la madre di Kayla avrebbero ricevuto una mail con la foto del corpo della figlia, come prova. «Con il cuore infranto, dobbiamo condividere che abbiamo avuto la conferma che Kayla Jean Mueller ha perso la vita», si legge in un comunicato dei genitori, che sabato avevano lanciato un appello all’Isis affinché venissero contattati privatamente per avere notizie della figlia. Lo scatto, però, non indicherebbe né la data né le circostanze della morte. Ma Kayla non è l’ultimo americano in mano ai terroristi, come si pensava; la Casa Bianca ha rivelato ieri che ce n’è almeno un altro, del quale non è stata rivelata l’identità.
È stata invece resa pubblica l’ultima lettera che Kayla ha scritto dalla sua prigionia e consegnata ai genitori in primavera. «Ho imparato che anche in prigione si può essere liberi. Sappiate che sono in un luogo sicuro, completamente illesa e in salute (ho messo su qualche chilo, in effetti)». Inoltre supplicava che la sua liberazione non fosse «a carico» dei genitori.
Amman non ha commentato la notizia della morte della giovane. Nel regno hashemita proseguono i r[/TESTO]aid contro lo Stato islamico, anche con il supporto dei jet arrivati dagli Emirati, dislocati ora in Giordania. Abu Dhabi ha annunciato la ripresa dei bombardamenti dopo che erano stati sospesi a dicembre a seguito alla cattura del pilota giordano. E a oltre una settimana emergono nuovi dettagli sulla raccapricciante morte di Muadh al-Kasasibah, che prima di essere bruciato vivo sarebbe stato drogato dai miliziani dell’Isis affinché non urlasse troppo davanti alle telecamere.

 

11 febbraio 2015

Fonte liberoquotidiano.it (Enrica Ventura)

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