E i tagliagole minacciano di colpirci con gli scud
Italiani in fuga dalla Libia. I tagliagole dell’Isis avanzano. Ieri sono arrivati a Sirte, 450 chilometri ad Ovest di Tripoli, e hanno preso il controllo di alcune radio locali. Le condizioni di sicurezza, quindi, peggiorano e la nostra ambasciata ha dato indicazione ai connazionali di lasciare «temporaneamente» il Paese. Tra i macellai islamici ci sarebbero anche sette ufficiali dell’esercito governativo libico addestrati da noi e che poi sono passati nei ranghi del nemico. Non solo. Poco dopo la conquista della città, un sostenitore dei fondamentalisti ha twittato un messaggio minaccioso: «La distanza tra Roma e Sirte è di 1.250 chilometri». Un missile «Scud può arrivare», quindi, fino in Italia. Intervistato da SkyTg24, il ministro degli esteri Paolo Gentiolini ha dichiarato che siamo pronti «combattere» in Libia «nel quadro della legalità internazionale. Non possiamo accettare l’idea che a poche ore» dalla Penisola «in termini di navigazione ci sia una minaccia terroristica attiva».
Nella città libica conquistata lo Stato islamico ha trasmesso dalle emittenti occupate i discorsi del suo autoproclamato emiro, Abu Bakr al-Baghdadi, e quelli del suo portavoce, Abu Muhammad al-Adnani. L’ordine alla popolazione della cittadina libica arriovato dia microfoni di radio Sirte, radio Macmadas e Al-Turathiya è di «sottomettersi», hanno riferito i media locali. In precedenza, l’Isis aveva chiuso l’Ufficio passaporti di Sirte, impadronendosi dei timbri e delle apparecchiature e intimando ai dipendenti di «pentirsi» per non essere accusati di apostasia. Due giorni fa, l’ex premier libico Ali Zeidan, che vive in Europa da quando il suo governo è stato sfiduciato dal parlamento, ha affermato che la presenza dello Stato islamico va rafforzandosi in tutta la Libia e, in particolare, lungo la costa del Mediterraneo. L’ex premier ha affermato che la fascia costiera del paese africano entro «un mese o due mesi» potrebbe essere completamente in mano ai jihadisti, con immaginabili conseguenze sul flusso quantitativo e qualitativo dell’immigrazione. «Se lasciamo così la situazione per un mese o due mesi ancora – ha concluso – non credo che possiamo più controllarla. Ci sarà una grande guerra nel paese e arriverà anche in Europa».
Anche il governo egiziano, dopo il rapimento di alcuni cristiani copti, ha avviato l’evacuazione dei suoi cittadini. Il presidente Abdul Fattah al-Sisi ha annunciato che potranno lasciare il paese attraverso un ponte aereo. Ieri, al Cairo, i familiari dei 21 ostaggi copti hanno manifestato accusando il governo di non fare abbastanza per la loro liberazione. Una sigla affiliata all’Isis, nota come «Debiq», ha pubblicato le fotografie dei copti rapiti con indosso la «divisa» arancione dai prigionieri condannati a morte. I 21 lavoratori cristiani egiziani sono stati rapiti tra il dicembre 2014 e il 3 gennaio di quest’anno nell’area di Sirte, nella parte orientale della Libia. Nella sua rivendicazione, Debiq afferma che i cristiani sono stati rapiti per vendicare le torture e le uccisioni delle donne copte convertite all’islam.
Anche nello Yemen la situazione non è rosea. Dopo i Paesi occidentali, l’Arabia Saudita ha chiuso l’ambasciata a Sanaa. L’Italia lo aveva già fatto poco prima. La Farnesina ha riferito che la decisione di chiudere temporaneamente l’ambasciata è stata presa «a seguito del precipitare degli eventi in Yemen e del progressivo aggravarsi delle condizioni di sicurezza». L’ambasciatore Luciano Galli e tutto il personale stanno facendo rientro in patria.
di Marzio Laghi
Fonte Il Tempo
Roma, 14 febbraio 2015