Quattro sottosegretari e decine di parlamentari sono indagati. Perché nessuno ha chiesto loro di dimettersi dall’incarico?

parlamentoE gli altri «Lupi» di Matteo Renzi? L’incoerenza del premier nel pretendere le dimissioni dei «suoi» uomini, la sua altalenante spinta moralista, la voglia di decidere quando un indagato debba mollare la poltrona oppure no, la sua pretesa di classificare, in assenza di un avviso di garanzia, il grado di indecenza accettabile o da condannare, non trova nessun appiglio logico degno di questo nome. E l’elenco di quanti, fra sottosegretari, deputati e senatori del Pd e del Nuovo centrodestra, sono alle prese con grane giudiziarie, o lo sono stati con Renzi a palazzo Chigi, ma non hanno subìto il trattamento riservato all’ex ministro Maurizio Lupi, è bello lungo. I primi quattro nomi sono ormai noti: Francesca Barracciu, sottosegretario ai Beni culturali, accusata di peculato in un’inchiesta sull’utilizzo dei fondi destinati ai gruppi del Consiglio regionale della Sardegna; Umberto Del Basso de Caro, sottosegretario alle Infrastrutture, indagato per i rimborsi del Consiglio regionale della Campania; Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute, indagato per i rimborsi nella Regione Basilicata; Giuseppe Castiglione, sottosegretario all’Agricoltura, sotto indagine per abuso d’ufficio e turbativa d’asta per gli appalti relativi alla struttura di accoglienza siciliana di Mineo. A questi va però aggiunto il nome di Filippo Bubbico, viceministro all’Interno, assolto tre mesi fa dall’accusa di abuso d’ufficio, ma nemmeno sfiorato da Renzi nel periodo in cui è stato sotto processo. Due pesi, due misure. Lo stesso dicasi per Davide Zoggia e Michele Mognato, deputati veneziani del Pd, indagati nel dicembre 2014 per finanziamento illecito. Su di loro pende una richiesta di archiviazione, ma sia per l’uno che per l’altro, Renzi è stato di manica larga. Capitolo speciale per i parlamentari Pd del Lazio. Nell’inchiesta sulle «spese pazze» del gruppo consiliare democrat alla Regione Lazio, nel periodo 2010-2012, sono indagati i senatori Bruno Astorre, Carlo Lucherini, Claudio Moscardelli, Francesco Scalia e Daniela Valentini, ma anche il deputato Marco Di Stefano, coinvolto anche in una seconda indagine, quella su una presunta tangente da 1,8 milioni di euro che avrebbe ricevuto, da assessore regionale, da due costruttori. Nessun anatema da parte del premier. Anatema assente anche per quanto riguarda Piero Aiello, senatore Ncd, sotto inchiesta per voto di scambio nell’ambito dell’inchiesta «Perseo» contro la ’ndrangheta di Lamezia Terme (Cz). Indagato per associazione a delinquere, per fatti risalenti a quando era sindaco di Molfetta, anche un secondo senatore Ncd, Antonio Azzolini. E pure in questo caso il nostro premier ha fatto finta di nulla. Altri due senatori «alfaniani», Giovanni Bilardi e Antonio Caridi, vengono indagati nell’ottobre del 2014 nell’ambito dell’inchiesta che ha portato al sequestro dei beni dell’ex dirigente generale della Regione Calabria, Franco Zoccali. E Renzi? Zitto e mosca. Quando nel marzo del 2014, con Renzi già premier, Repubblica e Corriere scrivono che anche Lorenzo Cesa, eurodeputato e segretario Udc, è indagato per finanziamento illecito, da palazzo Chigi non arriva nessuna urgente richiesta di dimissioni. Restando nella stessa aerea politica, l’indagine per corruzione e turbativa d’asta che pesa sul senatore Ncd, Roberto Formigoni, non scalfisce nemmeno il premier, che dopo il suo insediamento si è ben poco occupato anche dell’inchiesta per peculato che aveva da poco coinvolto Davide Faraone, parlamentare Pd e responsabile Welfare della nuova segreteria del partito. Faraone, si sa, è un renziano doc. Un motivo in più per non alzare un polverone. Il 25 febbraio del 2014, negli stessi giorni in cui Renzi giura da premier, il deputato Ncd, Alessandro Pagano, viene condannato a un anno e sei mesi per abuso d’ufficio. Dopo verrà assolto, ma nessuno, in quel frangente, gli chiede di lasciare la poltrona. Pochi giorni prima la procura di Patti, in provincia di Messina, scopre un presunto «comitato d’affari» che gestiva appalti in modo illegale, e sotto indagine per associazione a delinquere, per fatti risalenti a quando era sindaco di Sant’Agata di Militello, finisce il senatore Ncd, Bruno Mancuso. Due giorni fa è stato chiesto il suo rinvio a giudizio. Da Renzi, garantista e moralista a giorni alterni, nemmeno una sillaba. Ma fuori dal Palazzo sono indagati altri esponenti del Pd. Ad esempio Luigi Nieri, vicesindaco di Roma, ma anche Giovanna Marinelli e Alessandra Cattoi, assessori del sindaco Ignazio Marino. Condannato in primo grado per abuso d’ufficio è invece il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, che si candida a governare la Campania. Anche in questi casi l’«istinto moralizzatore» del premier, che è anche segretario Pd, se n’è rimasto a Firenze.

di Luca Rocca

Fonte Il tempo

Roma, 22 marzo 2015