Mercoledì la Cassazione. “Guarderò i giudici in faccia, non ho ucciso Mez”. “So che in caso di condanna sarò arrestato, ma preferisco pensare che verrò assolto”. “Amanda? Solo amicizia, ognuno ricostruisce la sua vita indipendentemente dall’altra persona”
“CON AMANDA? Semplici rapporti di amicizia, in cui ciascuno ha cercato di ricostruire la propria vita indipendentemente dall’altro». La distanza ora è oltre quell’Oceano che li separa e una giustizia che invece li vuole uniti. Nel bene e nel male. Nell’assoluzione e nelle condanne per aver ucciso l’amica inglese Mez Kercher. A tre giorni da un verdetto, forse senza appello, Raffaele Sollecito è nella sua Bisceglie. E i pensieri vanno avanti e indietro per questi otto interminabili anni. L’animo in tumulto, mischiato alla paura di vedere riaprire le sbarre dinanzi a lui.
Ha più volte detto: ‘Otto anni di vita distrutta’ e ora, in vista di quella che potrebbe essere l’ultima sentenza, se si guarda indietro cosa vede?
«Otto anni, di cui quattro in carcere, in cui ho disperatamente cercato di dimostrare la mia più assoluta estraneità alla morte della povera Meredith. In questo periodo ho cercato in tutti i modi possibili di andare avanti: sono riuscito a laurearmi, a completare il percorso di studi che mi ha permesso di ottenere la laurea in ingegneria informatica, mi sono abilitato all’esercizio professionale e… sì, sto cercando lavoro».
Mercoledì sarà in aula, in Cassazione. Cosa la spinge a presenziare?
«Sarò lì perché non ha alcun senso che io rimanga a casa, mentre si decide del mio destino. Preferisco affrontare la situazione a viso aperto, perché non ho nulla da nascondere e di cui vergognarmi».
Ha dedicato un pensiero a Meredith e alla sua famiglia che «devono avere giustizia» ma anche lei vuole giustizia.
«Quello che è capitato a Meredith è orribile. Una tragica vicenda e capisco che la famiglia voglia giustizia, ma la voglio anche io».
Cosa dovrebbero fare i giudici?
«Annullare senza rinvio la sentenza di Firenze (che ha condannato Raffaele a 25 anni e Amanda a 28 anni e mezzo ndr)».
È finito in carcere ed è stato condannato per una vicenda che coinvolge una ragazza conosciuta da poco; un altro, Rudy che ha detto di non conoscere e la vittima Meredith che aveva visto pochissime volte nella sua vita…
«Sono finito dentro per un’impronta di scarpa che non mi apparteneva e che é stata attribuita, senza ombra di dubbio anche dalla polizia scientifica a Rudy Guede. Lo ribadisco, ancora una volta: non conoscevo la povera Meredith. L’ho incontrata, questo sì, solo perché da pochi giorni frequentavo la casa di Amanda ma io non avevo nessun motivo, neanche di immaginare, di fare una cosa così orribile ad una persona contro la quale non avevo nulla e men che meno di aiutare altri a farla. Le garantisco che se avessi avuto l’occasione di essere presente, avrei fatto di tutto per impedirlo».
Ha niente di rimproverarsi?
«No, assolutamente. Sono una persona perbene, appartengo ad una famiglia perbene, non ho mai fatto del male a nessuno nella mia vita, ne mai ne farò. Sono felice di essere come sono, e fiero del nome che porto. Tutte le persone che mi conoscono da sempre o che hanno avuto l’occasione di conoscermi lo possono confermare».
Se non dovessero accogliere il suo ricorso dovrà essere arrestato. Cosa significa tornare in carcere?
«Preferisco pensare che, anche questa volta, come già successo a Perugia, verrò assolto».
Se la sua tesi di innocenza fosse condivisa dai giudici come cambierebbe la sua vita?
«Tornerei finalmente ad essere un uomo padrone della sua vita. Anche se con i suoi diritti e i suoi doveri. Ma anche i desideri, quelli di una persona normale. Continuerei però a fare quello che sto già cercando di fare: trovare un lavoro, pensare ad una casa e a una famiglia».
Perché la difesa con Amanda non è più unita?
«Guardi che non lo è mai stata. Nell’unica volta in cui sono stato ascoltato da un giudice, lungi dall’avvalermi della facoltà di non rispondere, io ho sempre parlato per me e ho sempre dichiarato la mia più totale estraneità a questa tragedia con cui non ho nulla a che fare. D’Altronde anche Amanda, sia quando è stata sentita in tribunale, sia quando ha scritto il cosidetto memoriale, ha sempre fatto riferimento solo e soltanto a se stessa e non ha mai detto che io ero con lei quando ha immaginato i fatti e le cose per cui è stata giudicata…». Lei, l’americana.
Perugia, 22 marzo 2015
Erika Pontini
(fonte LaNazione)
AP