«Non volevo uccidere mia madre. Lei gridava, diceva che non potevo uscire, urlava. Così ho preso il coltello in cucina e l’ho colpita per difendermi, ma non pensavo di farle così male. Quando l’ho vista a terra piena di sangue l’ho abbracciata forte e piangevo, lei mi ha detto di prendere il telefono e insieme abbiamo chiamato l’ambulanza». Racconta poco il tredicenne che ha ferito a coltellate sua madre Irina, 40 anni, nella piccola casa alla Tomba di Nerone.
Con lo sguardo basso, risponde alle domande dei poliziotti del commissariato Ponte Milvio e dei medici facendo piccoli cenni con la testa. Lo psichiatra dell’ospedale dove Yuri è ricoverato (il nome è di fantasia) gli dice che non deve avere paura, che lo aiuterà.
Madre e figlio vivranno separati per un bel po’, il Tribunale dei minori sta valutando il reato di tentato omicidio. Yuri per ora sarà affidato ai parenti, a Roma vive anche una zia e la nonna è arrivata dalla Russia. «Quelle pugnalate erano una richiesta di attenzione» dice un investigatore.
FAMIGLIA ASSENTE
Yuri è cresciuto senza conoscere una vera famiglia. Suo padre, un romano, non lo ha nemmeno visto nascere e si è sempre disinteressato di lui. La madre, Irina, preoccupata di trovare i soldi per tirare avanti non si accorge della solitudine del figlio, e della sua sofferenza che si sta trasformando in rancore verso di lei. La donna sbarca il lunario commerciando vestiti e biancheria intima che fa arrivare dalla Russia, ha una storia d’amore con un uomo violento e manesco.