Per la seconda volta in pochi mesi, la Francia si scopre esposta e fragile di fronte all’attacco terroristico, nonostante le misure di sicurezza, le leggi speciali e la forte reazione unitaria delle forze politiche e dell’opinione pubblica dopo gli attentati di gennaio a Charlie Hebdo . Il Paese appare traumatizzato dall’orrenda azione nell’Isère – un attacco che peraltro avrebbe potuto avere conseguenze ancora più devastanti – e al tempo stesso prende atto che nemmeno la più estesa e sofisticata rete di protezione e d’intelligence potrebbe azzerare i rischi di nuovi attacchi.
Sono troppi infatti gli obiettivi cosiddetti «sensibili», per quanto moltissimi – aeroporti, monumenti, giornali, imprese, sinagoghe, centrali nucleari, etc – siano da tempo sottoposti a stretta sorveglianza. E soprattutto sono molti i terroristi e i fiancheggiatori pronti ad agire su tutto il territorio. Anche l’attentatore di ieri era noto ai casellari della polizia e probabilmente sottoposto a sorveglianza, così come gli attentatori di Tolosa e a Charlie Hebdo . Ma è complicato, praticamente impossibile, tenere sotto stretta sorveglianza ogni potenziale sospetto, tanto più se – come nel caso dell’Isère – emerge una relazione fra l’attentatore e la vittima, un dipendente dell’impresa e il suo dirigente. Il terrorista era entrato nell’azienda, a quanto pare, senza nemmeno doversi preoccupare di eludere i normali controlli. Potrebbe avere ammantato di religiosità fanatica un fatto personale, ma se così fosse, si conferma la potenzialità di una minaccia indistinta.
L’allerta generale, annunciata ieri dal presidente François Hollande, al di là dell’enfasi sulle parole, non aggiunge nulla di più di quanto non sia già messo in atto da mesi per contrastare un pericolo che, a differenza di altri Paesi europei, si annida con tutta evidenza all’interno della società francese, in particolare nelle periferie delle metropoli diventate terreno di propaganda, proselitismo e consenso.
I terroristi protagonisti degli ultimi attentati, oltre all’area dei complici e dei fiancheggiatori, risultano essere cittadini francesi, immigrati di seconda e terza generazione, arruolati nella galassia del terrorismo. Non si tratta, in sintesi, di una minaccia esterna, per quanto alimentata dalla propaganda internazionale e dalla rete, bensì di un problema interno alla società francese. E proprio per questo più difficile da affrontare. Servono a poco i controlli alle frontiere o le ipotesi di limitazione degli accordi di Schengen, se le cellule del terrore si mimetizzano nelle periferie, nei luoghi di lavoro, negli ambienti religiosi permeati di antagonismo ai valori della Francia laica e repubblicana. Va anche ricordato che la grande maggioranza dei guerriglieri arruolati dal Califfato islamico sono francesi usciti dalla Francia. Giovani sottoposti al quotidiano tam tam di fanatismo e di odio che rimbalza dai loro Paesi d’origine dove l’immagine della Francia è offuscata dal passato coloniale e dalle operazioni militari del presente.
di Massimo Nava
Fonte Corriere della sera
Roma, 28 giugno 2015