“Hanno rivendicato tutto tranne il peccato originale”, diceva della Falange Armata il capo della polizia Vincenzo Parisi, che dai comunicati della misteriosa organizzazione fu più volte minacciato. Telefonisti compulsivi, i misteriosi falangisti debuttarono nell’ottobre del 1990 rivendicando l’omicidio di un educatore carcerario del penitenziario milanese di Opera. Da allora fu un profluvio di rivendicazioni: le più varie, dai delitti della Uno bianca alle stragi di Capaci e via D’Amelio, connettendo delitti chiaramente diversi fra loro, eclatanti ma anche minori. E minacciando personalità politiche e del mondo della giustizia. Tutto durò quattro anni e centinaia di telefonate ai mezzi di informazione. Poi il silenzio, per vent’anni. La Falange torna a farsi viva al carcere di Opera. Mandano una lettera a Totò Riina dopo i suoi proclami filmati e trasmessi. La lettera Riina non la legge. Bloccata dalla censura del 41 bis, finisce però su Repubblica. “Chiudi quella bocca. Stai tranquillo. Ci pensiamo noi”. Vent’anni dopo la falange è di nuovo in campo. E nello stesso periodo ne parla l’ambasciatore Fulci sentito dai pm palermitani. Del resto nel processo c’era già, citata nell’inchiesta “sistemi criminali” che è inserita nel fascicolo processuale pur essendo stata archiviata. La lettera falangista dell’anno scorso è servita a inserire un nuovo sub plot, “il ritorno della falange”. Martedì vi racconteremo la location.
di Massimo Bordin
Fonte Il Foglio
Roma, 29 giugno 2015