Fulvio Benelli è stato licenziato con l’accusa di aver creato un «tarocco» Ora l’Autorità vuole vederci chiaro. E l’azienda ha 10 giorni per spiegare.
Lo aveva annunciato lo scorso 20 maggio intervistato da Il Tempo: «Ora porto tutto in tribunale». Detto fatto. Fulvio Benelli ha mantenuto la sua promessa. Ha impugnato il licenziamento, ha presentato richiesta di risarcimento danni, un decreto ingiuntivo per chiedere il pagamento degli stipendi arretrati ma, proprio mentre si preparava a presentare la corposa documentazione del ricorso d’urgenza per diffamazione ai sensi dell’ex articolo 700, è stato fermato dalle mosse dell’Autorità per le garanzie delle comunicazioni. Che ha aperto un’istruttoria perché vuole vederci chiaro in una vicenda che dopo giorni di clamore è stata, forse volutamente, «nascosta».
Tutto era iniziato il 12 maggio con un servizio di Striscia la Notizia in cui Fulvio, giornalista di Quinta Colonna, veniva accusato di aver costruito un reportage «tarocco» servendosi di un rom che era stato pagato per «recitare» la parte del truffatore dopo aver «recitato» quella dell’integralista islamico. Non solo ma nello stesso reportage veniva inscenato il furto di un’auto che, rivelava il tg satirico era in realtà quella dell’operatore. Una finzione che avvalorava la tesi del «tarocco». Accuse dure che avevano spinto Mediaset-RTI a licenziarlo in tronco. A Il Tempo Fulvio aveva raccontato, per la prima volta visto che nemmeno l’azienda aveva voluto ascoltarlo, la sua verità. Nessun pagamento, nessun servizio «tarocco», ma semmai un vero truffatore che aveva cercato di estorcergli del denaro. Senza contare che il furto era stato «costruito» proprio per evitare di diventare complice di un reato. Forte della sua assoluta buonafede Fulvio aveva chiesto di rettificare le pesanti accuse diffamatorie nei suoi confronti. Niente da fare. Ignorato. Ma ora è entrata in campo l’Agcom, e Mediaset ha 10 giorni per spiegare il proprio comportamento. Impresa che si preannuncia ardua. Soprattutto a giudicare dalla documentazione che Fulvio, insieme al suo avvocato, ha «raccolto» in questi mesi.
Il ricorso ex articolo 700 che Il Tempo ha avuto modo di spulciare, ad esempio, contiente ben 29 allegati. Sms, telefonate, documenti riservati che confermano la tesi che Benelli ha sempre sostenuto: i suoi «superiori» sapevano. E furono proprio loro, non spiegando che l’auto nel servizio in realtà non era stata rubata, a fornire l’assist a Striscia la Notizia. Ma nell’articolata memoria con la quale chiede l’immediata rimozione dei servizi diffamatori che lo riguardano e la diffusione della rettifica fino a raggiungere un pubblico di 14 milioni di telespettatori, il giornalista fa un passo ulteriore. E tramite il suo avvocato ricostruisce il contesto in cui tutto è avvenuto. Il 9 maggio Striscia aveva licenziato, anche loro senza essere ascoltati, Fabio e Mingo. Indagati dalla procura di Bari per dei «tarocchi». Un colpo per il tg satirico che fonda il suo successo proprio sulla credibilità delle proprie denunce. Non solo, ma da marzo Paolo Del Debbio, con Quinta Colonna e Dalla vostra parte, aveva iniziato a fare concorrenza alla truppa di Antonio Ricci rosicchiando punti di share. Secondo Benelli la sua vicenda è stata l’occasione per «colpire» gli avversari (a sostegno di questa testi nel ricorso si citano le battaglie simili lanciate contro Affari Tuoi e Masterchef ndr) e per dimostrare che i programmi in realtà sono «vittime» dei propri collaboratori. E se Fulvio aveva agito all’«insaputa» di Del Debbio, Fabio e Mingo potevano averlo fatto con Ricci. Vengono poi aggiunti degli elementi alla vicenda del «rom polivalente». Prima di Striscia le «rivelazioni» di Lolo Levak erano state offerte a Michele Santoro, che conoscendo Fulvio ha rifiutato, e Corrado Formigli che mentre stava valutando è stato ricontattato e informato che se ne sarebbe occupato il tg satirico. E c’è la storia di Marcello Zuinisi, legale rappresentante dell’Associazione Nazione Rom che il 30 aprile, tre giorni dopo che il servizio sulle truffe era andato in onda, incontra Benelli a Firenze e gli dice che i famigliari di Levak gli hanno dato mandato di denunciare il «clamoroso falso». Il giornalista spiega la sua versione e Zuinisi rinuncia all’azione legale. Non solo, chiama i parenti dicendogli di tenere sotto controllo il ragazzo. Anche lui ha creduto alla versione di Fulvio. Mediaset-RTI no. Perché? Ora dovranno spiegarlo all’Agcom.
di Nicola Imberti
Fonte Il tempo
Roma, 3 luglio 2015