Vicenda Noe e Ultimo: il comandante generale si dimetta

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Siamo cittadini e cittadine che credono nel principio di legalità che deve permeare innanzitutto  l’attività amministrativa e le scelte di chi dirige e comanda e deve esser volto a garantire l’interesse generale, ad iniziare dai ceti popolari più deboli, ad una vita dignitosa e pacifica, contro abusi, soprusi, intimidazioni, violenze, danni alla salute, all’ambiente e al paesaggio.

La scelta contenuta nell’atto del 4 agosto 2015, assunto in modo poco trasparente durante la torrida estate agostana, di neutralizzare di fatto le incisive e scomodissime per “lor signori” attività investigative del Comando dei Carabinieri di tutela dell’ambiente, privandolo di compiti operativi di polizia giudiziaria, non è classificabile come scelta organizzativa interna rispondente a logiche improntate al principio di legalità.

Tale scelta contrasta appieno con la storia del NOE, ora Comando dei Carabinieri di tutela dell’ambiente, che ha visto l’Italia vantarsi d’esser stata la prima nazione in Europa ad istituire nel 1986 una forza scelta, posta alle dipendenze funzionali del Ministero dell’Ambiente, orientata, in via prioritaria, a far applicare la normativa ambientale e a difendere le risorse del patrimonio ambientale italiano, con compiti di vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in materia ambientale.

Tale dannosa scelta assume chiaramente i caratteri dell’esecuzione di ordini politici vendicativi per la serie di pesanti inchieste guidate dagli uomini di Ultimo che hanno visto coinvolti decine di “colletti bianchi” insospettabili, mettendo a nudo il livello alto di protezione e collateralismo di cui gode la malavita organizzata sul piano politico, imprenditoriale e finanziario in tutta Italia.

Inchieste condotte sotto la direzione della magistratura, che – salvo il principio di presunzione di innocenza – a vario titolo, hanno coinvolto per ipotesi di reato o per rapporti molto opachi, personaggi importanti: quella sugli investimenti del tesoriere della Lega Nord in Tanzania; su Orsi e Spagnolini di Finmeccanica e Agusta, con la tangente di 51 milioni di euro pagata a politici indiani per una commessa di 12 elicotteri; su Luigi Bisignani indagato per i suoi traffici di informazioni segrete e appalti per la P4 e sul deputato Pdl Alfonso Papa; sullo Ior e le confessioni del suo banchiere Ettore Gotti Tedeschi interrogato per ipotesi di riciclaggio; sul tesoro di Massimo Ciancimino; su una banda di narcotrafficanti a Pescara; su Roberto Maroni, presidente della Regione Lombardia, accusato di abuso di ufficio per l’assunzione di sue due collaboratrici tramite apposito concorso; sulla Cpl Concordia, cooperativa vicina al PD, molto generosa nell’acquisto di vini e libri di Massimo D’Alema, ma in affari con il sindaco Pd di Ischia, Giosi Ferrandino, arrestato; sul re della immondizia Manlio Cerroni, arrestato; sulle tangenti per gli appalti del dopo terremoto a L’Aquila, con gli arresti di 4 imprenditori ed un ex consigliere comunale, etc.

Inchieste in cui compaiono anche le intercettazioni dell’attuale  Presidente del Consiglio che svelava l’intenzione di spodestare Enrico Letta da Palazzo Chigi al generale della Gdf Adinolfi, nonché quella del pranzo tra lo stesso Adinolfi, Nardella (allora vicesindaco di Firenze), Maurizio Casasco (presidente dei medici sportivi) e Vincenzo Fortunato (già capo di gabinetto del ministero dell’economia) in cui si faceva riferimento a ricatti attorno al presidente Napolitano per vicende del figlio Giulio.

Anche per tale mole di attività investigativa la scelta del Comando Generale dell’Arma risulta ingiusta ed inaccettabile in quanto, di fatto, sopprime un Comando dell’Arma dei Carabinieri senza motivo plausibile e offende il popolo italiano, oltre che la dignità professionale di lavoratori con la schiena dritta, dediti con encomiabile spirito di sacrificio ai compiti di servizio.

Questa scelta adottata, per di più, a ridosso della decantata “riforma dei reati ambientali”, piuttosto favorisce di fatto il crimine organizzato, le ecomafie e i connessi livelli politico imprenditoriale e finanziario che ne traggono vantaggio, proprio perché ne depotenzia la lotta e i responsabili di tale scelta vanno individuati oltre che nel Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, nei Ministri dell’Ambiente, degli Interni e della Difesa, così come nel Presidente del Consiglio dei Ministri, in quanto per lo meno inerti e consenzienti.

Di tutti costoro chiediamo le dimissioni, a cominciare dal Comandante Generale dell’Arma che, invece di difendere il principio di legalità e il lavoro dei suoi valorosi carabinieri, sembra proprio non essersi saputo opporre a inconfessabili pressioni ricevute dai rappresentanti politici dei poteri forti e delle lobbies, colpiti pesantemente dalle inchieste del Comando dei carabinieri di Tutela dell’ambiente.

 

Avvocato Francesco Romito

Massimo Martini

La redazione

Roma, 22 agosto 2015