RESPINTO l’ennesimo tentativo di distruggere il ROS dei Carabinieri

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L’intimidazione subita oggi dal pm antimafia Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria, ci riporta con la memoria ad un suo memorabile intervento, quando nel corso di una manifestazione organizzata nell’agosto 2012 dal movimento antimafia “Ammazzateci tutti”, egli affermò di aver lavorato con gli investigatori di ogni parte del mondo, ma che quelli del Ros dell’Arma dei Carabinieri fossero i migliori in assoluto.
Un attestato di stima che senza dubbio inorgoglisce, per un’Italia spesso vilipesa e criticata.
Abbiamo il Reparto Operativo Speciale fra i migliori del mondo, un vanto e un fiore all’occhiello per l’Arma, eppure non facciamo altro che gettargli fango addosso.
Il solito masochismo italiano, cui si aggiungono invidia e malafede politica. Gli attacchi subiti dal Ros provengono infatti da una parte politica ben precisa e delineata, che trova la sua rappresentanza nei salotti chic dell’Antimafia schierata.
In questi giorni tira una brutta aria. Mentre lo stesso Gratteri ha subito proprio oggi un’inquietante intimidazione – il figlio ha ricevuto la visita di finti agenti di polizia in borghese ma si è poi accorto di uomini incappucciati che stavano scendendo dal piano superiore – il giustizialismo political flavour applicato contro vari esponenti del ROS  sta subendo sconfitte su tutta la linea, facendo imbestialire non poco il mondo dell’Antimafia di sinistra.

L’ultima occasione, in ordine di tempo, è stata il proscioglimento per prescrizione per il generale dei Carabinieri Giampaolo Ganzer, a processo perché accusato di presunte irregolarità in operazioni antidroga.
Il generale era stato condannato a 4 anni e 2 mesi in Appello (addirittura 14 in primo grado), ma la Cassazione ha annullato la sentenza senza rinvio, facendo scattare la prescrizione. Una formula che non convincerà i manettari e i forcaioli, che vengono però messi a tacere dal motivo per cui la terza sezione penale della Cassazione ha optato per questa decisione: i fatti sono stati riqualificati come “di lieve entità”. Il caso si è quindi smontato del tutto.

Il teorema accusatorio è crollato e non è più necessario andare avanti con il processo. Persino i magistrati della Corte d’Appello, nonostante la condanna, nelle motivazioni della sentenza avevano scritto: «è certo che i militari del nucleo di Bergamo con il concorso dei colleghi della sede centrale, nel perseguire le predette finalità abbiano ecceduto, ma appare, considerate anche le energie profuse e i pericoli corsi, che abbiano agito, piuttosto che per puro carrierismo o forse anche per un ritorno economico per una sorta di fuoco sacro».
Questa batosta, l’ennesima, arriva proprio il giorno dopo la testimonianza del procuratore capo di Roma Pignatone, che interrogato dal pm Di Matteo ha gettato pesanti ombre sul teorema accusatorio sulla presunta trattativa stato-mafia, mettendo in dubbio l’attendibilità del principale testimone, il colonnello Riccio. Stando ai lucidi ricordi di Pignatone, (per giunta supportati da incontrovertibili documenti d’archivio dell’epoca da lui prodotti) pare non ci fosse alcun progetto di catturare il boss Provenzano prima dell’effettivo arresto.

Nessun arresto mancato in virtù della trattativa, nessun incontro tra il boss Ilardo, confidente dei Carabinieri, e Provenzano. Testimonianza, quella di Pignatone, che uccide completamente il processo sulla Trattativa, a nostro avviso.
Dopo l’assoluzione con formula piena, nel 2013, dall’infamante accusa di associazione a delinquere mossa contro il Col. Angelo Jannone, dopo l’assoluzione del gen. Mario Mori e del capitano Ultimo per presunte omissioni  inerenti l’arresto di Totò Riina, dopo la chiarissima ed esemplare sentenza di assoluzione nel primo grado di giudizio a carico ancora del gen Mori con il col. Obinu al processo per un presunto favoreggiamento del boss Provenzano nel territorio di Mezzojuso, dopo la recente testimonianza di Pignatone al processo di Palermo della “trattativa”, ed ora dopo l’ultimo proscioglimento per prescrizione di Ganzer, quali altre lezioni dovrà subire l’Antimafia di sinistra per cessare la sua campagna d’odio, che non fa altro che infangare l’immagine di servitori dello Stato che hanno combattuto veramente la mafia, raggiungendo traguardi importanti?
L’immagine del Ros forse è rimasta ormai scalfita nell’opinione pubblica. Già, perché le origini di questa odierna condizione, hanno radici profonde e si sono diramate per anni, ad alimentare la vulgata senza che nessuno si opponesse con la necessaria veemenza.
Un esempio illuminante si può ritrovare, ad esempio, nelle pagine di una delle principali testate nazionali, il Corriere della sera, dove l’11 agosto 2000 Felice Cavallaro ci annunciava il consenso della procura al passaggio del mafioso Giovanni Brusca allo status di pentito, che egli perseguiva senza successo da anni, fornendo questa motivazione: “Lo scetticismo su Brusca è giustificato dal fatto che il boss ora pentito ha provato tante volte a confondere le acque. A cominciare dalla goffa trappola ideata per coinvolgere il presidente della Camera Luciano Violante in un inesistente complotto contro Andreotti. Poi, la svolta. Con i riferimenti al «papello» e alle presunte richieste di Riina transitate, a suo avviso, verso Stato e carabinieri nella discussa trattativa con Vito Ciancimino.”

Ecco, un’accusa a Violante, procurava al Brusca un immediato procedimento per calunnia, un’insinuazione sui carabinieri del ROS, invece, rappresentava una “svolta” nel suo processo di pentimento. Già, perché un mafioso gregario di Riina, nel momento in cui si premura di contribuire in qualche modo al sospetto contro i carabinieri che hanno arrestato il suo capo, allora si, che ha dato un bel segnale di intimo pentimento, e come no; chissà che travaglio e che turbamenti d’animo, per un mafioso, varcare quella soglia assegnandosi il ruolo di accusatore di carabinieri cacciatori di padrini.
Per i magistrati che lo udivano dal 1996 dunque, fu per anni uno che “confondeva le acque” preparando “goffe trappole” contro integerrimi uomini politici, ma quando finalmente penserà di raccontare di aver letto (nel 1996)  sui giornali dei contatti fra il ROS e don Vito Ciancimino e di avere ipotizzato, tra le pareti della sua cella, che quella sarebbe potuta essere la trattativa del “papello” di cui Riina gli aveva parlato in termini generici nel 1992, e quando dal 1999 in poi accetterà di arretrare al giugno 1992 (periodo dei contatti ROS-don Vito) la data dei suoi colloqui sul “papello” con Riina, sino a quel momento da lui fissata con determinazione alla fine dell’estate 92 con tanto di riscontri mnemonici, allora si, allora ecco che si potrà considerare pentito davvero ponendolo sotto la protezione ed il mantenimento dello Stato.
E tutto questo mentre, per fortuna, magistrati come Gratteri, che hanno lavorato con il Reparto Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri, lo definiscono come “il migliore al mondo”.
Forse un giorno qualcuno comincerà a pagare per tutto questo fango sparpagliato dai media e dagli araldi dei palazzi di giustizia, in danno ai carabinieri?
Nel frattempo, per dirla alla Ganzer,  è stato fatto un passo importante per l’accertamento della verità.

REDAZIONE

Roma, 18  Gennaio 2016

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