L’ex procuratore capo di Palermo sulla mancata cattura di Provenzano “Non c’era nulla di concreto, solo generiche prospettive riferibili al boss”
«Trattativa Stato-Mafia», che vede fra gli imputati anche l’ex generale del Ros Mario Mori, è arrivata inaspettata. A darla è stato ieri, nel corso della sua testimonianza nell’aula bunker di Palermo, l’ex procuratore Gian Carlo Caselli, il quale, fornendo la sua versione dei fatti su un episodio cruciale che, secondo il pm Nino Di Matteo, proverebbe l’accordo fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, cioè la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano, ha reso superflue le tesi della pubblica accusa. Soffermandosi su quanto sostenuto dal colonnello Michele Riccio, che rivelò di aver informato inutilmente gli uomini del Ros dell’occasione di arrestare Provenzano in un casolare di Mezzojuso, dove il 31 ottobre 1995 si sarebbe svolto un summit di mafia, Caselli, infatti, ha raccontato quanto segue: «Un giorno l’allora capo della Dia, Tuccio Pappalardo, mi disse che Riccio aveva un confidente (Luigi Ilardo, ndr ) che poteva aiutarci a catturare dei latitanti importanti, come Provenzano, Brusca e Bagarella. Io nominai il pm Giuseppe Pignatone come coordinatore (…). C’erano generiche prospettive riferibili al boss Provenzano (…). Pignatone mi riferiva che di concreto non c’era, in realtà, nulla, se non la speranza di arrivare al boss». Dalla testimonianza dell’ex procuratore capo di Palermo emerge, dunque, che le prospettive di prendere Provenzano di cui parlava Riccio erano «generiche» e che Pignatone gli aveva riferito che «di concreto non c’era nulla». Lo stesso Pignatone, sentito come testimone il 14 gennaio scorso, ha affermato che Riccio non gli parlò «mai del mancato blitz», e che quando il giorno dopo il summit incontrò il colonnello gli venne riferito «solo che c’era stato un incontro a cui era andata la fonte e che c’erano buone possibilità di prendere Provenzano di lì a poco. Una cosa che ci dicevano in continuazione».