GRAZIE DI TUTTO, OBAMA: IMPOSSIBILE FALLIRE MEGLIO DI TE

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Barack Hussein Obama II, quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America, dopo due mandati lascerà la Casa Bianca e non sarà rimpianto. Anzi, molto probabilmente la fine dell’era Obama sarà accolta con sollievo. Non tanto in patria, dove l’economia tutto sommato ha ripreso a funzionare dopo la crisi e le vicende interne sono state gestite in maniera non dissimile rispetto ai predecessori, quanto in tutto il resto del mondo che guarda agli Usa come faro, guida, punto di riferimento.
La parabola di Obama, ovviamente discendente, ricorda quella di Zapatero in Spagna o Tsipras in Grecia. Figure idolatrate, mitizzate, simboli di cambiamenti, di rivoluzioni, che poi alla prova dei fatti hanno rivelato tutta la loro inconsistenza. Forse sono state proprio le eccessive aspettative a creare i presupposti per solenni delusioni. Per quanto riguarda Obama, va detto, la retorica del “primo presidente Usa afroamericano” ha giocato il suo ruolo fondamentale. La portata virale della vittoria di Obama alle presidenziali del novembre 2008, in cui sconfisse il candidato repubblicano McCain, ha provocato un isterismo di massa che ha caratterizzato l’intero suo primo mandato: dai motti copiati (il “Yes we can” diventato in Italia “Si può fare” di veltroniana memoria) al premio Nobel per la pace “sulla fiducia” nell’ottobre 2009 che ha imbarazzato lo stesso Obama.
Certo, è il primo presidente afroamericano della storia, simbolo di stenti e sofferenze ma anche di un sogno americano che permette a tutti, prima o poi, onore e gloria, è una favola meravigliosa. Impossibile non assegnargli un Oscar per la pace, per rendere tale favola ancor più commovente e soprattutto credibile.
In realtà Obama non ha mai conosciuto gli stenti e le sofferenze degli afroamericani e probabilmente non sa neppure cosa sia un bronx. Volendo buttarla sul ridere, non è neppure così “dipinto” come disse Berlusconi in una sua famosa battuta. Ma tanto è bastato per renderlo un’icona meritevole del Nobel e della stima mondiale. Sempre, ovviamente, sulla fiducia.
La parabola di Obama si chiude nel 2016, ma forse si era già chiusa alle precedenti elezioni del 2012, quando era stato sì rieletto, ma senza entusiasmi e clamori. Aveva sì sconfitto il rivale repubblicano Romney, ma il mondo non se n’era quasi accorto. Come si cambia, in quattro anni.