La condanna per maltrattamenti in famiglia non può prescindere dall’accertamento di un atteggiamento di passiva soggezione da parte della vittima. Se questo atteggiamento manca, infatti, il reato non è configurabile. Specie se la vittima si contrappone reattivamente a tutti gli episodi di maltrattamento.
Questo è quanto emerge dalla sentenza numero 5258/2016, depositata dalla sesta sezione penale della Corte di cassazione lo scorso nove febbraio (qui sotto allegata).
I giudici di legittimità, in particolare, hanno confermato la sentenza con la quale la Corte d’appello aveva ribaltato la decisione del Tribunale di condanna di un uomo per maltrattamenti in famiglia e violenza privata all’esito di un giudizio abbreviato.
Tra moglie e marito, infatti, nel caso di specie vi erano un’accesa conflittualità, forti tensioni e radicate contrapposizioni. Entrambi, inoltre, erano dotati di cultura, formazione professionale, condizioni sociali ed economiche superiori alla media.