La discussione intorno alle unioni civili si tinge di toni triviali

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Legge Cirinnà. Unioni civili. Stepchild adopiton. Quanto ne sappiamo davvero di ciò che prevede quel decreto e quanto è serio il dibattito intorno a una materia così sensibile? Purtroppo le molte informazioni di cui veniamo sommersi quotidianamente, quasi sempre sono gridate, spesso contraddittorie e sovente dettate dalla leggerezza e dalla fretta – vera malattia dei tempi moderni. Ciò non fa che confondere e ingarbugliare la narrazione tanto dell’Italia attuale quanto dei suoi dibattiti intorno ai diritti civili che il parlamento è chiamato a tutelare, per garantire attraverso le leggi la società che cambia.

Quello sulle unioni civili doveva essere un dibattito alto, impegnato, serio, laico. Invece, siamo precipitati in una disputa greve, nel segno della superficialità e della cialtroneria, dove ognuno si sente titolato a esprimere la propria posizione, pur non avendone davvero maturata una.

Da quando poi i social network si sono arrogati il diritto di farsi organi di stampa e di bombardarci di “notizie” in nome di una presunta trasparenza e di un’utopica solidarietà globale, noi cittadini siamo diventati anche presuntuosi e riteniamo di essere correttamente “informati sui fatti”. Invece, abbiamo soltanto perso la bussola e anziché guadagnare certezze o migliorare la nostra consapevolezza, al contrario tendiamo a confondere l’opinione con la chiacchiera, e fatichiamo a distinguere tra facezia e ragionamento serio.

È così, abbattendo queste distinzioni a colpi di “mi piace”, che oggi siamo portati ad ascoltare solo chi la spara più grossa e usa mezzi meschini per emergere dalla valanga di presunte informazioni.

È così che abbiamo finito per consegnare i dibattiti culturali ai parvenu della politica, i quali imperversano nei media e pontificano senza motivo anche su argomenti di cui poco s’interessano, per la sola ragione che possono farlo. Perché hanno un “pubblico” virtuale che li segue, perché fanno tendenza, perché oggi funziona così. Basta un semplice tweet per diventare “importanti”. Se poi quei tweet fanno anche ridere, le presunte idee dei parvenu diventano virali, cioè popolarissime, e giustificano nuove incursioni. Ma sono davvero così divertenti? Forse abbiamo scordato la differenza tra il divertente e il ridicolo. Altrimenti non avremmo fatto di un senatore come Razzi un politico da prima pagina.