Si moltiplicano le voci su un intervento diretto delle forze armate di Turchia e Arabia Saudita in territorio siriano. Dei bombardamenti dell’artiglieria di Ankara abbiamo dato testimonianza diretta nella regione di Latakia, a ridosso del confine ottomano. Sui piani di un’effettiva invasione terrestre, il discorso è più complesso.
In questo momento per tutte le parti vale il principio che se la guerra finisse, per ambire a successi negoziali servirebbero risultati sul terreno. Questo al netto del fatto che il governo di Damasco non ha nessuna intenzione di mollare l’osso e di scendere a patti con i terroristi. Non solo. Secondo quanto dichiarato giorni fa da Walid al-Moallem, ministro degli Esteri di Damasco “le truppe di terra straniere che entreranno in Siria torneranno a casa nelle bare”.
Nonostante l’ammasso di truppe al confine, le attuali possibilità che la Turchia si avventuri in Siria sono scarse. Il peggioramento del fronte gestito dei terroristi turcomanni affiliati ad Al Nusra impedirebbe una copertura “umanitaria” della spedizione e scoprirebbe le carte turche una volta per tutte. Il prezzo politico sarebbe altissimo. La presenza del tutore aereo russo nell’area e il fatto di essere membro NATO farebbero escludere in ogni caso ogni azzardo unilaterale di Ankara, in questo giorni particolarmente inquieta.