Il pm Nino Di Matteo e l’inconcludenza

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Ieri nove comuni abruzzesi hanno conferito la cittadinanza onoraria al pm palermitano Nino Di Matteo. La cerimonia si è svolta a Pescara “alla presenza degli studenti di 18 istituti superiori e medi della città” come informa uno dei numerosi lanci Ansa dedicati all’evento. In uno di essi è scritto anche che Di Matteo ha “istituito alcuni dei principali processi contro la mafia”, con una certa improprietà nella scelta del verbo e anche, per dirla tutta, con una omissione non irrilevante rispetto ad uno dei processi “istituiti”, che si è dovuto rifare perché alcuni accusati si sono poi rivelati estranei alla strage di Via D’Amelio. Ma questa è storia nota e qui già raccontata. Così come, nel discorso pronunciato di fronte alle scolaresche, nulla di nuovo ha detto il magistrato. Con l’eccezione di un verbo, riportato fra virgolette dall’agenzia. Dopo aver sostenuto che occorre indagare sull’ipotesi del cosiddetti mandanti esterni degli attentati, indagine che per la verità dura da circa un quarto di secolo senza risultati, ha poi aggiunto un nuovo oggetto di investigazione: “Chi ha gradito l’eliminazione di certi bersagli”. Gradito. Si può gradire un caffè, una cassata, non certo una strage. Ma mettiamo pure. Il verbo usato sposta ancora in avanti il concetto, già giuridicamente discutibile, della responsabilità oggettiva, superando anche l’indiziario “cui prodest?” e scivolando verso il “gradimento”, concetto chiaramente inutilizzabile in un processo. Nell’uso delle parole c’è la confusione che spiega l’inconcludenza delle indagini.

Roma, 17 febbraio 2016
fonte IlFoglio