Intervista a Gerardo Manfredi, agente vittima di malagiustizia. Costretto a lasciare la Polizia.

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Un fermato cambia versione dei fatti durante un’interrogatorio e un poliziotto che ha operato in maniera corretta si trova indagato. Può capitare, sono i rischi del mestiere. Ma succede che un pm si accanisca, sindacati e amministrazione non difendano il poliziotto in questione e quest’ultimo venga assolto con formula piena solo dopo sei anni di inferno.

Sei anni in cui viene addirittura sospeso dal servizio per poi essere sottoposto a visite mediche e costretto a lasciare la polizia, nonostante l’infondatezza delle accuse nei suoi confronti.
Una storia sintomatica di come sia difficile fare il poliziotto in Italia, avendo tutti contro. Una storia come quella di Gerardo Manfredi può capitare a chiunque. Un poliziotto ligio al dovere, che amava il suo mestiere ma che alla fine ha scelto di abbandonarlo per non vivere più quell’inferno che non meritava.
Abbiamo voluto raccontare la sua storia e lo ringraziamo per aver accettato di rilasciarci questa intervista in esclusiva per Sostenitori.info.

Gerardo Manfredi, può raccontarci in breve la sua vicenda giudiziaria e le conseguenze?

Nel settembre 2009, durante il servizio, traggo in arresto un giovane in possesso di 500 grammi di hashish.
Da subito la situazione non appare limitata allo stesso ma, sul posto dove eseguo il fermo, vi è la presenza di un pregiudicato e della sua compagna. Il luogo del fermo poi era il piazzale del cimitero della città di Biella di fronte alla casa del custode data in uso ad un’altra famiglia di pregiudicati di tutt’altro spessore.
Sul posto chiedo e ricevo l’ausilio di un altro equipaggio ma inizia a piovere e non era più possibile gestire il fatto, quindi accompagno tutti in Questura eccetto il pregiudicato che abitava all’interno della casa comunale. All’interno della Questura mi preoccupo di avvisare l’Ispettore Capo turno, che a sua volta avvisa la Dirigente che a sua volta avvisa la sezione preposta della squadra mobile.
Entro un’ora, presso gli uffici della Questura sono presenti due Poliziotti della Squadra Mobile, la Dirigente, il capoturno, il coordinatore delle Volanti, un collega fuori servizio che aveva operato un fermo per furto presso un supermercato e l’equipaggio che era intervenuto in ausilio, composto da un Sovrintendente ed un agente. Infine, sono presenti il soggetto fermato e la sua compagna e, presso la sala d’attesa, video sorvegliata ed attigua al corpo di guardia con la presenza dell’agente in servizio di guardia, sono presenti il pregiudicato e la sua compagna che erano stati trovati “casualmente” sul posto.
Subito cerco di farmi dire dal soggetto trovato in possesso della sostanza che tipo di collegamento ci fosse con il pregiudicato trovato all’ingresso del cimitero e lo stesso per piu di un’ora continua a negare di conoscerlo, nel contempo gli altri colleghi si occupano delle fasi di accertamento ai terminali, perquisizioni e redazioni atti, oltre ad alternasi con me alla ricerca del collegamento tra il soggetto fermato ed il pregiudicato.
Per me era fondamentale capire se vi fosse un collegamento tra il fermato e il pregiudicato poiché quest’ultimo, mia fonte confidenziale, se collegato si sarebbe trovato in una situazione ben più grave visto e considerato che circa due ore prima lo avevo contattato per sapere se in zona fosse giunta voce di qualche “carico” di stupefacente e lo stesso aveva comunicato che da informazioni prese non aveva avuto nessun riscontro, quindi in caso di collegamento si sarebbe trovato nella situazione evidente di aver tentato di raggirami per un suo scopo.
Tuttavia non vengono trovati collegamenti anche perché il pregiudicato, che come detto era effettivamente una mia fonte confidenziale, dimostra di essere al cimitero per sua figlia mancata anni addietro e il soggetto fermato, messo davanti al padre carabiniere fatto da me intervenire per rispetto e dovere, continua a sostenere di non conoscerlo.
Si tenga presente che, come emerge dallo svolgimento del processo, tutti i presenti in Questura interagiscono con il fermato al fine di evidenziare o far emergere il collegamento e la squadra mobile visiona il cellulare del ragazzo trovando foto di coltivazioni domestiche di “erba”, denotando un’indole del fermato ben precisa.
Il seguito si svolge come prassi, ovvero il soggetto viene arrestato e nel verbale di arresto, redatto in forma sintetica, non viene menzionata la presenza del pregiudicato al fine di non fornire una versione troppo colorita vista e considerata la reticenza dell’arrestato a collaborare.
Il soggetto quindi subisce la convalida dell’arresto dove conferma quanto accaduto. Successivamente, avendo negato il collegamento con il pregiudicato biellese e fornito il nome del suo fornitore di stanza nella città di Novara, il giovane si trova ad essere sottoposto ad ulteriore interrogatorio dove fornisce una versione differente dei fatti, dichiarando di aver sempre detto all’atto del suo arresto a Biella che la droga fosse destinata al pregiudicato biellese con il quale intratteneva rapporti da tempo e che la droga non gli sia stata trovata nella tasca del giubbotto ma sia stata rinvenuta sotto il sedile della vettura del pregiudicato biellese.
In pratica una versione differente dei fatti.
Dichiara anche che chi aveva redatto il verbale di arresto non fosse “un poliziotto presente in strada al momento del fermo”, e lo sosterrà anche nel processo, tuttavia io ed il mio autista unitamente all’altro equipaggio ci troviamo indagati.
Dopo due mesi la posizione dei due colleghi intervenuti sul posto in ausilio viene archiviata per le stesse ragioni che hanno portato alla mia assoluzione, con la differenza che io ed il mio autista abbiamo dovuto aspettare 6 anni di processo.