Renzi ha totalmente in mano il Pd. Su questo non ci piove. Basta vedere l’amara fine degli oppositori usciti dal partito, in primis Civati e Fassina, e di quelli rimasti dentro, Cuperlo e Bersani. La cosiddetta “sinistra interna” non conta più nulla, tant’è che anche dove ha in mano le segreterie locali prende batoste alle primarie. Un esempio è la Toscana, regione “rossa” per eccellenza, che nonostante dia i natali all’attuale premier ha una caratteristica precisa: il Pd locale è ovunque, in ogni singolo comune, praticamente in mano alla sinistra interna. Quella di Bersani e Civati, per intenderci. Ma è solo una questione di apparato, perché poi alle primarie gli equilibri si ribaltano: il candidato scelto dal partito prende una scoppola, mentre il centrista o ex democristiano vince.
Attenzione: il candidato scelto dal partito non è quello di Renzi, perché da quelle parti il partito è l’ala sinistra. A vincere è proprio il candidato renziano, contro però la volontà delle segreterie locali.
L’esempio della Toscana è determinante per capire dove stia andando il Pd. Renzi ha in mano la segreteria nazionale, e su questo non ci piove. Ha in mano la maggioranza dei parlamentari, ha la maggioranza nei congressi. Non ha in mano certe segreterie locali, soprattutto nella “sua” Toscana, i cui candidati alle primarie però prendono batoste contro i candidati vicini a Renzi. Quindi, di fatto, Renzi si è preso il Pd.
Questo significa una sola cosa: il Pd sta virando verso il centro, secondo alcuni addirittura il “centro-destra”. Ma non è una buona notizia per tutti gli elettori e i militanti del partito: il destino è quello della spaccatura. Difficilmente l’anima ex comunista, post comunista, di sinistra dura e pura, o più in generale gli ex Ds potranno riconoscersi nel nuovo corso. Pur contando varie correnti anche in guerra fra loro, è quasi impossibile convivere all’interno dello stesso partito con differenze così marcate.
Ed è quello che sta succedendo. Contro ogni pronostico, Renzi è riuscito a prendersi il Pd. Ma in realtà sta perdendo qualcosa nei sondaggi e non riesce a tenere unito il partito.
Ora il segretario e premier ha tre esami. Il primo, facile facile, è il referendum sulle trivelle. Renzi ha invitato all’astensione, si presume che vincerà facilmente e che sarà sufficientemente abile da intestarsi il merito. Ma non sarà dirimente, perché a giugno arriverà il primo vero esame: le elezioni amministrative. E in quel caso, nonostante la data strategica del 5 giugno, proprio in pieno ponte, tutti i nodi arriveranno al pettine. Il pericolo dell’astensionismo, tradizionalmente favorevole al Pd, è alto. Ma Renzi rischia grosso e lo sa. I sondaggi parlano chiaro. A Torino, Fassino rischia di andare al ballottaggio con la candidata grillina Chiara Appendino. Ed è un indizio di possibile sconfitta. Idem a Roma, dove Giachetti appare sfavorito contro la rivale pentastellata Virginia Raggi. E a Milano il centrodestra unito intorno alla figura di Stefano Parisi potrebbe fare lo scherzetto. Aggiungiamoci Napoli, dove si prevede addirittura un ballottaggio tra centrodestra e De Magistris.
Insomma, le amministrative rischiano di essere una debacle per Renzi, che dopo essersi impossessato del partito e avergli cambiato corso, potrebbe condannarlo ad una sconfitta impronosticabile e sicuramente dagli effetti devastanti.
Il corso renziano potrebbe durare meno del previsto, perché anche una eventuale vittoria al referendum per confermare la riforma Boschi non basterebbe a ripagare una batosta colossale alle amministrative. Staremo a vedere.
Roma, 12 aprile 2016
Redazione