Cinque i caseifici bresciani che hanno utilizzato il latte. Il consorzio Grana Padano: «Lo 0,15 % dei 4,6 milioni di pezzi prodotti annualmente». Si teme un calo delle vendite
Il caso del latte con aflatossinautilizzato da cinque caseifici bresciani per preparare forme di formaggio che dovrebbero ricevere il marchio Grana Padano a giugno, sta facendo il giro del mondo. La conferma arriva dal direttore del consorzio, Stefano Berni, che dagli uffici di San Martino della Battaglia (Desenzano del Garda) ha il suo bel da fare nel rassicurare i fornitori internazionali del formaggio Dop più venduto all’estero, vanto del buon cibo made in Italy.
Ripete loro «Che ogni forma di Grana oggi in commercio è totalmente sicura» e che il formaggio prodotto con il latte incriminato è tutto stoccato nei magazzini, in attesa di subire rigorosi controlli sanitari. Ma la paura che nelle prossime settimane si subisca un contraccolpo economico causato dai timori dei consumatori, è palpabile
7mila le forme sequestrate, i numeri potrebbero crescere
Le forme sequestrate sono di più delle 4mila di cui si è parlato fino ad oggi. Quel numero riguarda solo i prodotti lavorati in un caseificio della Bassa. Ci sono altre 3mila forme – in altri tre caseifici della bassa bresciana e in uno sul Garda – che hanno ricevuto i sigilli sanitari dell’Agenzia di Tutela della Salute di Brescia.
Numeri che potrebbero crescere ancora, come confermano dalla stessa Ats: i suoi veterinari stanno collaborando con i carabinieri dei Nas per risalire la filiera del latte munto in una trentina di stalle (prevalentemente nel Bresciano ma anche nel Cremonese e nel Mantovano). Latte prodotto da vacche che da settembre in poi hanno mangiato mais locale, contaminato da cangerogena aflatossina B1, fungo sprigionatosi per colpa dell’estate arida e caldissima. Diversi allevatori quel latte l’hanno buttato in concimaia. Qualcuno – in un momento di crisi nera – ha fatto il «furbo», consegnandolo ugualmente alla cooperativa di riferimento.