FINNMECCANICA ED ENI: QUANDO LA MAGISTRATURA E’ ANTI-ITALIANA

finmeccanicaeni
Quelli che colpiscono le eccellenze italiane sono scandali ad orologeria che ormai hanno cadenza di uno all’anno. Una media approssimativa, ma ben ci ricordiamo le accuse di corruzione internazionale ai danni di Eni nel 2014, così come quelle a carico di Finnmeccanica nel 2011 sulle tangenti ai politici, seguite alle indagini sulle forniture in Brasile fino all’arresto di Giuseppe Orsi, presidente di Finnmeccanica dal 2011.
Parliamo di due colossi, di due fiori all’occhiello dello stato italiano, che in qualunque altro Paese verrebbero trattati come meritano. Ossia con i guanti, per non parlare di tappetini rossi. Non immaginiamo Gran Bretagna, Francia o Germania indagare o arrestare un presidente di un gruppo industriale, che ha come maggiore azionista un ministero, per delle commesse vendute all’India, come è stato il caso degli elicotteri di Finnmeccanica.
Ci sono degli interessi di stato che vanno al di sopra di tutto. E bisogna avere il coraggio di dire che in taluni casi debbano andare anche al di sopra della magistratura.
Le accuse di “toghe eversive” ricordano certe battaglie politiche destinate a dividere l’Italia in schieramenti, ma anche le indagini ad orologeria e destinate a non apparire casuali insospettiscono non poco e non aiutano ad avere fiducia nel potere giudiziario. Nel caso di Eni, ad esempio, sembra proprio che la magistratura voglia entrare a gamba tesa sul referendum previsto tra una settimana, indirizzando in qualche modo l’opinione pubblica.
Tutto, ovviamente, a scapito degli interessi nazionali.
Qualcuno storcerà il naso, dirà che la giustizia non deve guardare in faccia a nessuno e deve stare sopra a tutto.
Non volendo entrare nell’attualità, essendoci indagini ancora fresche e un procedimento che come si usa dire “deve fare il suo corso”, ricordiamo allora cosa è accaduto in passato.
Giuseppe Orsi, all’epoca presidente di Finnmeccanica, era stato arrestato su ordine emesso dal gip del Tribunale di Busto Arsizio con l’accusa di corruzione internazionale, peculato e concussione a causa di presunte tangenti che sarebbero state pagate per la vendita dei dodici elicotteri all’India. Il risultato è stato che il governo indiano ha deciso di sospendere i pagamenti a Finmeccanica per la commessa, pari alla cifra di circa 750 milioni di dollari, e ha comunicato di non voler accettare la consegna di alcun velivolo fino a quando non fosse completata un’inchiesta della polizia indiana sulle accuse per tangenti.
Inutile dire che la commessa è stata annullata, rendendo inutile persino il “sacrificio” dei Marò. Questo nonostante Orsi non si sia intascato nulla. E’ infatti noto che tutte le imprese che operano su contratti importanti all’estero debbano pagare tangenti per avere le commesse. Se è vero, com’è vero, che in ambiente internazionale le tangenti le versano tutti, la priorità dovrebbe essere quella di difendere il lavoro italiano. Priorità non solo di Orsi, ma in teoria anche della magistratura italiana.

In molti all’epoca hanno accusa, molto probabilmente a ragione, che il vero obiettivo dell’inchiesta giudiziaria fosse la svendita di Finnmeccanica, la più grande azienda pubblica italiana. Un colosso industriale che ha sede a Roma e impiega circa 70 mila persone in una cinquantina di Paesi del mondo (Polonia, Stati Uniti, Regno Unito e altri, oltre ovviamente all’Italia), con diverse decine di controllate e partecipate tra cui Alenia, SELEX e AgustaWestland, che produce gli elicotteri finiti nel mirino della magistratura.
Chi sosteneva ciò, ipotizzava che dopo Finmeccanica sarebbe toccato ad Eni.
Difficile dargli torto, stando così le cose.
Senza soffermarci sul presente, ma raccontandovi solo del passato, siamo persuasi di avervi convinti.

 

Roma, 12 aprile 2016

Riccardo Ghezzi