Caso Uva. Dopo quasi otto anni di processo e fango mediatico, i poliziotti e i carabinieri imputati per la morte di Giuseppe Uva sono stati assolti. Una sentenza che diventerà definitiva perché la pubblica accusa non ricorrerà in Appello. Eppure, in molti hanno gridato allo scandalo accusando poliziotti e carabinieri di “farla sempre franca”. Un clima giustizialista alimentato anche da insospettabili.
Ne abbiamo parlato con Gianni Tonelli, segretario generale del sindacato di polizia SAP, che non ha mai smesso di prendere le difese dei colleghi coinvolti.
Gianni Tonelli, quali sono le Sue sensazioni dopo l’assoluzione di poliziotti e carabinieri coinvolti nel processo per la morte di Uva?
Dopo sette anni di disumanizzazione nei confronti degli operatori delle Forze dell’Ordine, poliziotti e carabinieri coinvolti, posso dire che la sentenza di assoluzione non mi ha stupito. Semplicemente perché l’innocenza dei colleghi era scritta nella roccia. Il partito dell’antipolizia vede coloro che portano le divise come nemici, secondo loro al centro del sistema non può stare la formica, ma la cicala. Sono quindi gli elementi più forti che devono farsi carico delle devianze. Si vede nel dibattito sulla legittima difesa. Oggi non esistono più i topi di appartamento, ma i mostri di appartamento, che entrano nelle proprietà private e seviziano, picchiano, uccidono pur di rubare. Noi sviluppiamo questa funzione contro le devianze e per questo dobbiamo essere criminalizzati.
Invito tutti coloro che leggono questa intervista ad andare su youtube e a cercare l’interrogatorio del senatore Manconi su Uva. Il senatore voleva costituirsi parte civile, ma poi ha dovuto ammettere che non sapeva nulla del caso. Allora per quale motivo è intervenuto?
Si badi bene che io non ho sostenuto l’innocenza dei colleghi per spirito corporativo, ma perché era ciò che emergeva dagli atti processuali.
Colpisce il parere del perito della famiglia, secondo cui la morte del povero Giuseppe Uva è stata determinata da quattro cause: malformazione cardiaca, eccessivo quantitativo di alcool, i farmaci del Tso e la concitazione emotiva causata da fermo e interrogatorio. Queste miscele in corpi provati dall’uso di sostanze stupefacenti logorano l’esistenza.
La stessa perizia del dottor Motta aveva stabilito che non vi erano state lesioni ma macchie emostatiche che compaiono in tutti i cadaveri, a causa del refluo del sangue.