Il tribuno della tele

“Oltre alla mancanza di conduttori di personalità forte, c’è da tenere soprattutto in conto l’effetto di saturazione dovuto all’eccesso di programmi simili e intercambiabili”, spiega il critico televisivo del Corriere, Aldo Grasso. Al che va aggiunta una classe politica disponibile alla presenza televisiva molto scarsa. “Di fatto è rimasto solo Vespa, che non per niente è il più tradizionale di tutti e quello che sa più diversificare ed è sempre stato lontano dal modello del talk politico. Il fatto che Matteo Renzi vada solo da lui, o piuttosto da Barbara D’Urso, la dice lunga”.

Già. Perché poi c’è Renzi che polemizza, ogni quando può, con i talk-show, quelli in cui stanno chiusi gli “autorevoli ospiti” a pontificare contro le trivelle: i veri sconfitti dal paese reale che non ha votato. Il talk come specchio del paese irreale della chiacchiera e della demagogia politica.

Nonostante le repliche alla Massimo Giannini, “l’essenza del renzismo è fare a meno dei giornalisti”, i talk sono morti. Ma l’odio del premier per la formula del salotto politico ha un senso: per due decenni, “quello è stato il luogo dell’intermediazione politica”, dice Grasso, il luogo in cui le idee erano rappresentate, nel senso di messe in scena, e le posizioni mediate, offerte alla sintesi. Ma a Renzi, si sa, tutto ciò che è intermediazione e concertazione non piace.

Così, nel grande vuoto, Maurizio Crozza galleggia e giganteggia come un dirigibile Zeppelin. La morte del talk, del resto, l’ha inscenata lui stesso: nella parodia di “DiVenerdì”, nei panni di “Giova” Floris con la sua scaletta di argomenti inverosimili e soprattutto con l’imitazione dei personaggi che hanno fatto la storia del talk e che ormai sono ridotti a parodia di se stessi: Cacciari che insulta, Luttwak il cannibale e Freccero (il suo amico Freccero) che ripete “il talk è morto, voglio riportare Gino Bramieri in Rai”. Critica della televisione. Chapeau. E’ notevole che il rivale di Floris, il “Ballarò” Rai di Giannini, abbia inserito in scaletta la Gialappas’ esattamente con la stessa funzione di traino dell’ascolto.

Ma in tutto questo Crozza – che è l’evento televisivo degli ultimi anni: le sue battute sono una delle poche cose che dall’infotainment rimbalzano sui giornali – è diventato qualcosa d’altro. “Renzi-dentone is back, ne sentivamo la mancanza. Maurizio Crozza è tornato al suo bersaglio prediletto”. Caverzan è stato tra i primi qualche settimana fa a collegare il ritorno dell’imitazione del premier ai sommovimenti politici ed editoriali.

Dopo che nelle prime serate della nuova stagione, “in concomitanza con le sirene della Rai, la caricatura del premier era curiosamente desaparecida”. Invece nelle ultime settimane Crozza ha iniziato a sparare a palle incatenate su Renzi. Chissà se dietro c’è anche il tramonto dell’ipotesi di passare in Rai. Colpa delle manovre un po’ complicate del suo agente Beppe Caschetto, il Mino Rajola della tv italiana? Colpa di un antirenzismo troppo militante, ingombrante e scomodo da gestire per la Rai di Antonio Campo Dall’Orto? Ah, saperlo.

A suggerire una risposta ci pensa direttamente Carlo Freccero. Che è ligure pure lui e amico di Crozza (“ma noi per volerci bene ci insultiamo”), nonché vittima e complice della sua parodia in tv: “A me spiace tanto che non ci vada, in Rai, ma forse non è il momento. E invece lui sarebbe perfetto, sarebbe l’antidoto al conformismo che ormai domina. Ormai non si può più parlare di Renzi”.

Allora è vero che Crozza si è trasformato in un tribuno filo-grillino? “Ma no, tribuno non direi. Lui è un comico raffinato, un grande parodista. L’unica verità è che il talk non c’è più, e nemmeno la satira. Sono cambiati i linguaggi e c’è troppo conformismo. E’ per questo che lui emerge, perché è bravo e fa le cose liberamente”.