Sei più protezionista se vuoi stare in Europa o se vuoi lasciarla? Dolori liberali

Oggi questo consenso è sceso al 56 per cento, non la metà ma quasi. Soltanto il presidente Obama ha avuto una evoluzione inversa: nel primo mandato era piuttosto freddo sul protezionismo, nel secondo ne ha fatto materia di dibattito politico ed elettorale, arrivando a dire agli inglesi a rischio Brexit che un’uscita dal consesso europeo li caccerebbe “in fondo alla fila” nella gestione degli scambi commerciali internazionali.

Ma il suo richiamo non si è rivelato popolare. Wolfgang Münchau, apocalittico commentatore del Financial Times, ha scritto che gli europei dovrebbero cercare di non battersi troppo per il Ttip, se le negoziazioni falliscono è meglio: “Un non accordo almeno rimuoverebbe uno dei fattori che hanno determinato l’avanzata degli anti europei e degli anti globalizzazione. I benefici economici marginali dell’accordo sono ben inferiori alle sue conseguenze politiche”. E’ meglio arrendersi, insomma.

Oppure rilanciare, gettando la palla del protezionismo nel campo dei pro europei: siete voi i veri protezionisti (che, va detto, dal punto di vista filosofico non è molto intuitivo: l’Europa si fonda sulla libertà di circolazione di persone e merci, in molti settori i prezzi sono crollati grazie al mercato unico).

Patrick Minford, uno degli “Economists for Brexit” che lavorò con la Lady di ferro, dice che l’Unione europea è “un’unione di protezionisti”, che i consumatori inglesi perdono il 4 per cento del pil a causa del protezionismo europeo, e che avrebbero invece enormi benefici dall’esclusione dalle regolamentazioni europee. Gerard Lyons, che è stato capo economista di Boris Johnson, spiega che i prezzi sono tra il 10/20 per cento più alti di quanto dovrebbero essere a causa delle politiche protezioniste dell’Europa.

Secondo il modello finanziario progettato da Minford, la fuga dal protezionismo garantirebbe un aumento del pil del 2 per cento, grazie anche alla possibilità di commerciare liberamente all’interno delle regole della Wto, senza i lacci dell’Ue.

I. M. Destler, autore di un celebre libro sulle guerre commerciali, ha pubblicato ieri sulla Harvard Business Review un saggio sulla storia difficile degli Stati Uniti e dell’occidente con il libero scambio. Destler spiega che l’entusiasmo è andato deteriorandosi, che il Partito repubblicano americano è per lo più contrario al libero mercato, che per ottenere risultati politici seri con i negoziati internazionali sarebbe necessario costruire una “free trade coalition” in grado di contrastare chi considera la crescita stagnante, i salari bassi e la diseguaglianza gli effetti della globalizzazione.

Che questa coalizione possa avere successo è tutto da vedere, conclude Destler, ma il problema da risolvere oggi è ben più profondo: chi parteciperebbe a questa coalizione? Nel Regno Unito si stanno massacrando anche su questo.

 

Roma, 30 aprile 2016

fonte IlFoglio