“Ei fu”. Oggi, 5 maggio 2016, anniversario della morte di Napoleone Bonaparte, è il giorno in cui Donald Trump negli Stati Uniti prende di forza la leadership del partito repubblicano per condurlo direttamente alla Casa Bianca. Il tycoon newyorchese è da molti paragonato a Silvio Berlusconi, l’ex premier italiano che oggi è molto occupato a rintuzzare le ambizioni del leghista Matteo Salvini con un caustico “ognuno deve stare al proprio posto”.
Mentre un altro Matteo, l’attuale premier Renzi, procede a spron battuto nell’azione di governo, nonostante la magistratura italiana – dopo che il presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, ha affermato “i politici continuano a rubare ma non si vergognano più” – sembra in procinto di riproporre l’epico duello che vide il Cavaliere di Arcore pugnare contro quei giudici “irresponsabili”, che volevano fermare la sua azione di governo.
C’è chi crede davvero che siamo giunti sulla soglia di un nuovo scontro tra poteri dello stato. Non il premier Renzi, che ha cassato l’ipotesi con un romanesco “ma de che”. Di certo, lo crederà Berlusconi, che non ha mai mancato di sottolineare quanto avesse in odio il modus operandi del sistema giudiziario italiano.
Il quattro volte premier italiano è stato accusato spesso di soffrire della sindrome di Napoleone. Ma, nell’anniversario della morte dell’imperatore di Francia, osserviamo che tanto all’estero quanto in Italia di Bonaparte ve ne sono più d’uno. La megalomania del generale che volle assoggettare l’Europa è un tratto comune di quanti si sentono padroni di dire e fare ciò che credono, convinti che a un ruolo di potere sia connessa ineluttabilmente una sorta di infallibilità o di immunità per quanti lo esercitano. Ed ecco allora come i napoleoni odierni si permettono di dire qualsiasi cosa venga loro in mente, senza tuttavia curarsi di pensare alle conseguenze delle proprie parole e senza mai scusarsi per questo.
Ne sia esempio il candidato presidente Donald Trump che si permette di pronunciare frasi oltremodo razziste e offensive in un’America ferita da secoli di segregazione sociale. O il giovane Matteo Salvini che si fa beffe del suo padre nobile Berlusconi, convinto di avere una chance concreta di guidare l’intero centrodestra e replicare il miracolo di un ventennio al potere.