“Dottoressa, mi scusi, il dottor Morosini l’ha vista passare nel corridoio e vorrebbe salutarla”. Ah, il dottor Morosini, che piacere. Roma, piazza dell’Indipendenza, sede del Consiglio superiore della magistratura. La cronista si dirige verso l’uscita, il portone di Palazzo dei marescialli è già alle sue spalle quando un giovane assistente la invita a raggiungere Piergiorgio Morosini, consigliere del Csm in quota Magistratura democratica.
Morosini è uomo affabile e garbato, da gip a Palermo ha rinviato a giudizio gli imputati nel processo sulla presunta trattativa stato-mafia. “Buongiorno, dottore”, la cronista si accomoda sul divanetto del suo ufficio. Innanzitutto, come sta? “Che vuole che le dica, non vedo l’ora di tornare in trincea.
Qui è tutto politica. La politica entra da tutte le parti: le correnti, i membri laici (quelli eletti dal Parlamento, dovrebbe vedere come sono compatti in tempi nazareni…), dall’esterno, da tutte le parti”. Così avete concluso una bella infornata di nomine, immagino le pressioni. “Da tutte le parti. Persone sponsorizzate da politici, liberi professionisti, imprenditori.
Mi tocca assistere alla scelta di candidati che per competenze e curriculum non meriterebbero quel posto”. Dottore, lei dovrebbe ribellarsi. “Io, a fine mandato, me ne torno in Sicilia a fare il gip. Adoro il mare e la qualità della vita in Sicilia”. Sì, bella la Trinacria, ma diciamolo: il processo sulla presunta trattativa non sta andando a gonfie vele.
“Va a rilento, è vero, la sentenza di primo grado è prevista per la fine del prossimo anno. I pm non hanno osato abbastanza”. Ah, dovevano osare di più? “Certi filoni dell’inchiesta non sono stati approfonditi a sufficienza. Io resto del parere che la trattativa c’è stata”. Torniamo al Csm: l’ex procuratore capo di Bolzano, Cuno Tarfusser, oggi giudice a L’Aja, ha lamentato di essere stato “dimenticato”: lui si è candidato ma nessuno l’ha audito.