Vengono però definiti non lineari, in quel documento, i numeri sulla capacità di deflusso dell’Arno in sicurezza: “L’Itsc desidera porre in evidenza la notevole incertezza che caratterizza le stime ad oggi disponibili per le portate transitabili in sicurezza nel centro cittadino”, che andrebbero di conseguenza riviste e perfezionate. Altro problema: “La pianura a valle delle dighe di Levane e La Penna, che veniva naturalmente inondata in occasione dalle piene, non risulta più disponibile a questo scopo essendo ora protetta da argini”. Ancora: quattro misure previste dal piano di riduzione del rischio idrogeologico sarebbero dovute essere completate entro 15 anni, ma questo non risulta che sia stato fatto. Nel 2005, si segnala, il “Piano stralcio per l’assetto idrogeologico” ha provveduto a una “mappatura della pericolosità idraulica nel bacino”. Ma manca un’analisi dettagliata del rischio reale, e “il risultato è che il centro urbano della città di Firenze non ricade tra le aree a rischio elevato o molto elevato, sebbene le perdite economiche che si avrebbero a seguito di un’alluvione quale quella del 1966 siano state stimate nello stesso PAI dell’ordine di 15.5 Miliardi (escludendo le vite umane ed il patrimonio artistico)”. Un terzo piano del 2015, quello di “gestione del rischio alluvioni”, ha portato “alcune modifiche che tuttavia non sembrano dettate dalla necessità di proteggere aree di enorme valore come Firenze”, ribadendo alcuni interventi del resto già previsti dai piani precedenti. I tre progetti, quelli del ’99 del 2005 e del 2015, non sarebbero ancora riusciti a mettere in sicurezza la città di Firenze. L’avanzamento del progetto “di implementazione delle casse di espansione nell’area di Figline”, aggiunge quindi il Comitato tecnico internazionale, è positivo, ma ritardato da lungaggini burocratiche non accettabili in situazioni di possibile emergenza come quella fiorentina. L’Itsc ribadisce quindi “la sua preoccupazione sulla mancanza di dati idraulici affidabili relativi alle stazioni di misura nel bacino dell’Arno. In particolare, le scale di deflusso risultano spesso non affidabili e ciò impedisce un’adeguata validazione delle capacità predittive dei modelli idrologici e idraulici”. I cittadini di Firenze si ritiene che “abbiano consapevolezza dell’esistenza di un rischio di esondazione del Fiume Arno”, ma quello che manca è “una piena conoscenza della potenziale gravità di un tale evento.
Appare quindi indispensabile, per la sicurezza dei cittadini stessi, che i diversi Enti nazionali, regionali e locali lavorino insieme per diffondere la necessaria cultura del rischio. Il comitato auspica quindi l’apertura di “un museo permanente dedicato alla storia dell’alluvione”, perché la memoria è importante tanto quanto le misure di protezione, che comunque scarseggiano: “L’Itsc riconosce l’importanza della città di Firenze oggi per i suoi cittadini, per l’Italia ed il mondo. Sottolinea il significativo rischio di inondazione che permane e l’esiguità delle azioni che sono state realizzate per contrastare la minaccia di un catastrofico evento alluvionale”. Secondo il presidente del Centro Studi Emergenze, Salvatore Arca, “non è più procrastinabile la realizzazione di casse di espansione ed è urgente porre mano ad alcuni interventi nelle dighe di Levane e di La Penna, presenti lungo il corso del fiume nel Valdarno Superiore”. E’ quindi “assolutamente prioritario – ha scritto Arca in un recente intervento, e ha ribadito al convegno sull’Arno dei Georgofili – che la pianificazione territoriale tenga conto della minaccia di una possibile esondazione, escludendo pertanto in maniera categorica l’occupazione di aree esposte al rischio alluvionale. E’ questa una raccomandazione che in passato è stata ripetutamente disattesa”.
Fonte: Il Giornale
26/5/2016