Come precisato dalla giurisprudenza (ad esempio in una sentenza del Tribunale di Milano del 1° luglio 2014), tuttavia, affinché tale voce di danno possa essere effettivamente risarcita è necessario che il decesso dell’amico a quattro zampe sia derivato da un maltrattamento punibile ai sensi dell’articolo 544-ter del codice penale.
Se, invece, la morte è connessa a un comportamento del terzo che non sia caratterizzato da crudeltà o sia necessario oppure non derivi da sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili, al padrone il danno morale non spetta.
L’esempio tipico di (purtroppo) frequente verificazione è quello dell’automobilista che non si avvede della presenza dell’animale nonostante la dovuta attenzione e lo investa. In tal caso il danno morale non spetta.
Diverso è il caso in cui un terzo decida di “far fuori” volontariamente l’animale, magari somministrandogli una polpetta avvelenata: in una simile ipotesi il proprietario può chiedere e ottenere il ristoro per il turbamento subito a seguito della perdita.
Il danno patrimoniale
Come detto, tuttavia, chi è stato privato della compagnia di un animale domestico a seguito del comportamento di un terzo ha potenzialmente diritto ad essere risarcito non solo del danno morale ma anche del danno patrimoniale. Danno patrimoniale che, peraltro, non è sottoposto ai medesimi limiti che incontra invece quello morale.