Iraq: Ong, ‘Isis uccide civili che tentano fuga da Falluja’

I miliziani dell’Isis sparano sui civili che cercano di fuggire dalla città irachena di Falluja, roccaforte dei jihadisti assediata dalle forze governative: è quanto sostiene una ong umanitaria, il Consiglio norvegese dei rifugiati (Nrc), citata da Bbc, secondo la quale diverse persone sono state uccise mentre cercavano di attraversare l’Eufrate. Shakir al-Essawi, capo regionale dell’Nrc, ha raccontato che i civili “cercano di attraversare il fiume nascosti in frigoriferi, armadi e botti”.

“I nostri peggiori timori sono stati tragicamente confermati e i civili vengono colpiti mentre cercano di fuggire per mettersi in salvo”, racconta, citato da Bbc, Nasr Muflahi, direttore di Nrc in Iraq, secondo cui “si tratta di uomini, donne e bambini innocenti che si sono lasciati tutto alle spalle e cercano solo di salvarsi la vita”.

L’Nrc (Norwegian Refugee Council), che gestisce campi per rifugiati nei pressi di Falluja e che ha raccolto testimonianze di chi è riuscito a lasciare la città assediata, stima che nel centro della città vi sono ancora circa 50.000 civili, che di fatto sono ostaggi dei jihadisti. L’Isis da due anni che tiene in mano la città irachena, a maggioranza sunnita, che sorge a 50 km a ovest di Baghdad.

L’Isis nel panico giustizia decine di ‘spie’  – Costretto ad arretrare sotto le bombe e assediato nelle sue roccaforti di Falluja e Raqqa – e ora anche a Sirte, in Libia – l’Isis da alcuni mesi combatte anche sul fronte interno, contro un demone ancora più insidioso: il “panico da infiltrato”. Il Califfato sta divorando i suoi stessi ‘figli’, uccidendo decine dei suoi militanti: a volte semplici vittime del sospetto, altre volte individuati con certezza e costretti a una brutta fine.

Un mondo svelato da fonti d’intelligence ben informate citate dall’Associated Press, secondo le quali alcuni militanti, seppure non siano degli infiltrati, si sono venduti al nemico per semplice mancanza di soldi, mentre fra i capi si diffonde la paranoia. Le fonti concordano sul fatto che la crisi, con le conseguenti purghe, è stata innescata quando una serie di obiettivi – strutture e personalità del Califfato – hanno iniziato ad essere colpiti con precisione da missili, droni e bombe intelligenti.

Dopo l’uccisione di Abu Hayjaa al-Tunsi, un capo militare dell’Isis che aveva preso ogni precauzione per non essere colpito e che fu polverizzato sulla sua jeep, centrata mentre era in missione nel nord della Siria, i sospetti sono subito ricaduti sui militanti della sua scorta. Solo loro potevano infatti conoscerne gli spostamenti, e segnalarne le coordinate al nemico. La “caccia alla spia” scatenata dopo l’uccisione di al-Tunsi è terminata con l’uccisione di 38 militanti in quella che ha tutta l’aria di un’epurazione indiscriminata, secondo quanto rivelano militanti dell’opposizione siriana, comandanti militari curdi, vari funzionari dell’intelligence irachena e anche un ex informatore del governo di Baghdad nelle file dello Stato islamico.