La gogna è una cultura

La gogna in Italia è una cultura. Uno stile. Un metodo. Un clima morale. Ieri hanno messo alla gogna la povera Tiziana Cantone, ma già oggi su internet impiccano per i piedi e mettono alla berlina un imbecille qualsiasi che l’aveva a sua volta messa alla gogna. Poi tutti, schiumando rabbia, chiedono che vengano fatti i nomi e pubblicate le foto (forse anche gli indirizzi per andarli a prendere sotto casa?) degli indagati dalla procura di Napoli, cioè i quattro uomini sospettati di aver diffuso le immagini di Tiziana, la ragazza che si è suicidata il 12 settembre perché non ha retto l’indecente e vigliacca marea di frizzi, lazzi e giudizi che le venivano scagliati addosso come pietre della lapidazione.

E c’è allora il serio giornalista radiofonico, solitamente mite, che getta la parola “merda” in faccia a qualcuno. E c’è il collega, che conosciamo per essere civile, che invece fa un elenco di persone, di testate giornalistiche: “Assassini”. E ancora: “Merde”. La gogna suona sempre come uno spasmo bilioso e come un ordine al plotone di esecuzione: “Sparate!”. Su Twitter, andate a controllare, c’è un tizio, un utente anonimo, che ha passato gli ultimi giorni a rispondere e ritwittare, dunque a esporre al pubblico, uno per uno, decine di altri utenti che nei mesi e negli anni passati avevano citato, deriso, insultato Tiziana. E improvvisamente è tutto un additare e mettere alla gogna chi ha messo alla gogna, o chi si crede – basta il sospetto – che abbia messo alla gogna.

E allora c’è la nota conduttrice televisiva di talent show, e giornalista di quotidiano e intrattenitrice radiofonica, che su Facebook prende un povero deficiente qualsiasi dal web, con nome e cognome, uno stupido come ce ne sono tanti, uno che scriveva cose disgustose sul conto di Tiziana, e lo espone al giudizio pubblico delle 930.373 persone che la seguono su internet. “Ti regalo un giorno da Tiziana Cantone”, gli scrive la giornalista, “sperimenta sulla tua pelle…”. Come dire: “Adesso ti faccio suicidare”. Un invito esplicito allo stalking, che più che un reato è una patologia. Un incitamento a molestare, che è un delitto punito dal codice ma anche un’ossessione che raccolta in rete produce in poco tempo reazioni intemerate di dileggio e persino di minaccia. Diciassettemila condivisioni, sessantatremila like, molti di giornalisti (uno addirittura del direttore di un importante giornale regionale), 8.844 commenti, più o meno di questo tono: “Io spero che questo pezzo di merda paghi molto caro”.

E si vede bene che la gogna ha un suo linguaggio, una sua grammatica. Si possono sommariamente contare 1.000 “culo”, 3.090 “merda”, 2.000 “ora sparati”, 1.125 “crepa”. E dunque una giovane donna propone: “Scriviamo ai suoi datori di lavoro, qui c’è l’indirizzo, devono cacciarlo”. E la conduttrice-giornalista: “Brava. Ma in massa proprio”. Così alla fine i commenti si accavallano, uno sull’altro, le persone cominciano ad additare a loro volta altri utenti, si fanno altri nomi, si pubblicano altre foto, si indicano altri colpevoli da mettere alla gogna: “Sei meno di una merda”. Il loro numero impressiona. E guardando i messaggi sembra di sentire cavalcare i tasti, come nella musica di Wagner, solo che quelle erano le valchirie e questi sono i giustizieri incappucciati.