La giornata romana del dottore Di Matteo

Ricorderete che il sostituto procuratore Antonino Di Matteo si candidò per un suo trasferimento dalla procura di Palermo, dove si occupa del processo sulla cosiddetta trattativa stato-mafia, alla procura nazionale antimafia che ha sede a Roma. Il Csm non accolse la sua richiesta perché risultò undicesimo nella graduatoria per titoli fra i magistrati che si erano proposti per l’incarico. Di Matteo ricorse al Tar, ma non ebbe successo e fece un secondo tentativo col Csm respinto per un vizio di forma nella sua domanda. Il Consiglio Superiore aveva già dalla prima richiesta escluso la possibilità di un trasferimento per motivi di sicurezza alla procura nazionale, perché sarebbe stata una promozione e non un passaggio di sede con analoghe mansioni.

Questi i precedenti, fino a ieri quando è filtrata la notizia di un colloquio fra il dottore Di Matteo e il vice presidente del Csm Giovanni Legnini e di una audizione, poi segretata, davanti alla Terza commissione del consiglio superiore. La giornata romana del dottore Di Matteo sembrerebbe aver riaperto la questione è il Csm starebbe valutando l’ipotesi di accedere alle richieste del magistrato palermitano. Finisse così, sarebbe inevitabile il parallelo con la nomina, nel dicembre 1986, di Paolo Borsellino a procuratore di Marsala, malgrado magistrati più titolati di lui avessero avanzato la loro candidatura.

La cosa fu notata da Leonardo Sciascia e per questo lo scrittore fu linciato. Nel caso di oggi è perfino auspicabile che finisca per valere la nota frase di Marx secondo cui le tragedie non possono ripetersi se non come farse.

Roma, 12 ottobre 2016
Massimo Bordin
Fonte ilFoglio