Il 27 aprile un kamikaze dei Falchi per la Libertà del Kurdistan si fa saltare a Borsa, vicino alla Grande Moschea e a un mercato coperto. Provoca tredici feriti. Il primo maggio, un’autobomba con a bordo un kamikaze dell’Isis esplode di fronte alla sede della polizia nella città di Gaziantep: tre morti, ventitré feriti. Il 10 maggio Diyarbakir un’autobomba fa saltare un veicolo blindato della polizia con a bordo sospetti membri del Pkk arrestati. Sono tre morti e quarantacinque feriti, ma il Pkk spiega che non si è trattato di un attentato: una propria vettura che trasportava esplosivo sarebbe esplosa perché colpita dal fuoco della polizia. Il 12 maggio un camion bomba esplose a Dürümlü, vicino a Sir. Sedici morti e ventitré feriti, l’azione è rivendicata dal Pkk. Il 7 giugno un kamikaze dei Falchi attacca un bus pieno di poliziotti nel centro di Istanbul: tredici morti, cinquantuno feriti. Il giorno dopo un’autobomba è fatta saltare contro una caserma della polizia nella città curda di Midyat: cinque morti, trenta feriti, rivendicazione del Pkk.
Ma giugno culmina il 28 con l’attacco all’aeroporto di Istanbul da parte di tre uomini dell’Isis, due con cittadinanza russa e un terzo non identificato. Armati di kalashnikov e imbottiti di esplosivo, provocano quarantotto morti e oltre duecentottanta feriti.
E’ a questo punto che il 15 e 16 luglio un gruppo di militari tenta un colpo di stato contro Erdoğan. All’inizio l’azione sembra riuscire, ma il presidente fugge, riuscendo a mobilitare contro i golpisti la polizia, l’intelligence e i militanti del suo partito. Il bilancio in vite umane è di centoquattro morti tra i golpisti e sessantasette tra i lealisti. Una prima conseguenza del fallimento del golpe è un riavvicinamento tra Erdoğan e Putin, che sfocerà nella mediazione congiunta della tregua tra il governo di Assad e i ribelli siriani, annunciata il 29 dicembre. Approvata dall’Onu, l’iniziativa dovrebbe portare a negoziati di pace ad Astana, in Kazakistan. Una seconda conseguenza è un raffreddamento con l’occidente. Una terza sono le massicce purghe contro i gülenisti, accusati di aver tramato il golpe. Col decreto del 22 novembre sono oltre 125 mila i magistrati, insegnanti, militari, poliziotti e altri dipendenti pubblici sospesi dal servizio, e 36 mila di loro sono anche arrestati.