Lo scandalo spionaggio non è cominciato con la polemica sugli hacker russi che avrebbero condizionato le elezioni in Usa e nemmeno con la suggestiva notizia dei politici italiani spiati on line. Renzi spiato, Draghi spiato, persino Capezzone spiato.
Le prime avvisaglie sono più lontane nel tempo e risalgono allo scandalo diplomatico Usa-Germania, precisamente quando il capo della Cia a Berlino è stato rimosso dal governo tedesco, con tanto di malcelata scocciatura da parte di Angela Merkel, cancelliere di Germania, per quello che a tutti gli effetti è stato una crisi diplomatica sfiorata.
Anzi, molto più che sfiorata.
Gli Usa spiavano la Germania, a quanto pare all’insaputa di Obama, anche se non ci crede nessuno. Semplicemente, non si è voluto approfondire per non rovinare i rapporti tra due potenze mondiali e, su larga scala, tra Usa ed Ue.
Ciò che era emerso chiaramente era però un fatto incontestabile: la mancanza di fiducia, anche tra sedicenti alleati o paesi in buoni rapporti.
La retorica della pace e dell’Europa che non fa guerre da 70 anni perché ora è unita è soppiantate da queste mosse di cyberspionaggio, a conti fatti una nuova tecnica di guerra. Forse meno dannosa per la popolazione: non si spara, non si bombarda, forse non si fanno morti. Eppure, lo spionaggio cybernetico è a tutti gli effetti un modo di fare la guerra ad un paese. Spiandolo, carpendone i segreti, forse ricattandolo. E dimostrando che non ci si fida dei cosiddetti amici.
Gli Usa non si fidano della Germania e forse la cosa è reciproca. La Russia cerca di entrare a gamba tesa nella propaganda americana. L’hackeraggio subito non ha modificato l’esito elettorale, non ci sono stati brogli, ma qualche informazione segreta carpita sui democratici potrebbe aver favorito Trump, un candidato evidentemente preferito da Putin.
E’ la nuova frontiera della guerra: spiarsi su internet. Forse è meglio così.
Riccardo Ghezzi
Roma, 12/1/2017