Quando esplose 39mila anni fa, le ceneri della sua eruzione arrivarono fino in Groenlandia e causarono addirittura l’estinzione dell’uomo di Neanderthal, tanto che la Solfatara di Pozzuoli nei Campi Flegrei viene definito un supervulcano. Ma, come racconta La Repubblica in un suo reportage, l’allarme per una nuova esplosione è cresciuta negli ultimi anni.
Segni di irrequietezza non sono così gravi da far prevedere un’eruzione imminente, ma l’allarme esiste, per quel lago di fluidi e magma che sta risalendo e che sembra aver formato un bacino sotterraneo di 3-4 chilometri di diametro a 3 chilometri di profondità. La Protezione Civile nel 2012 ha innalzato il livello di allerta da verde a giallo (attenzione).
Il magma ha iniziato la sua risalita intorno al 2000-2005, ma l’ultima eruzione del supervulcano risale al 1538. Per i prossimi anni, allora, si potrà dormire sonni tranquillo. Ma nei Campi Flegrei l’attenzione non deve abbassarsi, mai.
Ma il problema sembra continuare a essere l’evacuazione
A complicare il lavoro di chi elabora i piani di evacuazione ci sono poi la densità abitativa (mezzo milione di persone vivono nella caldera), il traffico e un discreto numero di cittadini armati.
Già nel 2014 “Le Scienze” aveva dedicato un numero proprio al vulcano. Già perché gli allarmi si susseguono. “L’ultimo, in ordine di tempo – scrive il direttore Marco Cattaneo – è stato nel dicembre 2013. Pochi mesi prima, in settembre, era toccato a un vulcanologo giapponese. E nel 2011 Katherine Barnes su “Nature” lo aveva addirittura definito «la bomba a orologeria d’Europa»”.
Marco Cattaneo direttore de “Le Scienze” scriveva nel suo editoriale
Piuttosto, è vero che siamo così impreparati? No. O almeno, forse no. In verità il Vesuvio è uno dei vulcani più monitorati del mondo, insieme al Mauna Kea e al monte Fuji, di un cui risveglio le cronache hanno parlato di recente, sia pure risparmiandosi l’enfasi vesuviana. In più oggi, a differenza dei terremoti, le eruzioni vulcaniche sono prevedibili, almeno entro certi margini temporali, sebbene non sia possibile quantificarne l’entità. Se il Vesuvio dovesse rientrare in attività, dunque, avremmo il tempo di intervenire, evitando un’ecatombe.
Sì, ma i piani di emergenza? Ci sono. Come racconta Silvia Bencivelli nel servizio di copertina di questo numero, sono stati messi a punto con il contributo e la collaborazione dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, della Regione Campania e dei Comuni interessati.
E il 14 febbraio scorso Enrico Letta, allora presidente del Consiglio, ha firmato il nuovo Piano nazionale di emergenza per il Vesuvio, che ha rivisto i confini delle aree da evacuare in caso si ravvisino i segnali di un’eruzione imminente. Si tratta di circa 700.000 persone, che risiedono in 25 Comuni delle province di Napoli e Salerno, da trasferire nell’arco di tre giorni.